Dpcm: il Consiglio di Stato boccia il ricorso dei ristoratori

Lo schema utilizzato dal Governo Conte è conforme a Costituzione, producendo atti normativi equiparabili alle ordinanze contingibili sanitarie e di protezione civile

Non si arrendono i ristoratori alle normative restrittive che hanno messo in ginocchio uno dei settori più importanti e anche più amati dell’economia italiana.

E’ il caso di un ristoratore di Pesaro che a ottobre 2020 aveva organizzato una manifestazione di protesta mettendo a cena 90 persone nel suo locale, proprio come atto di dissenso verso le restrizioni imposte con il DPCM del 24 ottobre 2020. Ne è scaturito chiaramente un verbale di accertamento e un provvedimento sanzionatorio del Questore di Pesaro che il ristoratore ha impugnato con ricorso al Presidente della Repubblica, per chiedere l’annullamento non solo del verbale di chiusura della sua attività, ma anche dei DPCM (24 ottobre 3 novembre 2020) che imponevano il divieto di svolgere attività di ristorazione tra le 18 e le 5 del mattino.

Le ragioni del ristoratore

Il ricorso del ristoratore di Pesaro riassume molti dei dubbi di legittimità costituzionale che il dibattito pubblico ha sollevato in questo periodo di emergenza.

Violazione dell’art. 41 Cost., perchè un atto amministrativo ha inciso e limitato i diritti fondamentali del lavoro e dell’iniziativa economica. Violazione degli artt. 76 e 77 Cost., perché non può un decreto legge, che è emanato dal Governo, delegare il Capo stesso del Governo a esercitare un potere normativo; e poi ammesso e non concesso che fosse possibile questa delega del Governo a se stesso, in ogni caso sarebbe stato necessario farla in favore di un organo collegiale come il Consiglio dei Ministri e non conferendo tutto il potere normativo a un solo uomo al comando. E ancora, la nostra Costituzione non prevede lo stato di emergenza, ma solo la deliberazione dello stato di guerra. E poi, i DPCM non motiverebbero a sufficienza la scelta di chiudere i ristoranti considerato che gli studi scientifici non attribuiscono un ruolo di grave pericolo all’attività di ristorazione nella diffusione del contagio.

Le motivazioni del Consiglio di Stato

La posizione del Consiglio di Stato (Parere 13 maggio 2021 n. 850 – testo in calce): rigetta la ricostruzione del ristoratore di Pesaro e si pronuncia a favore della legittimità dei DPCM, o almeno di quei DPCM emanati in una primissima fase dell’emergenza Covid-19. Per quali motivi?

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Lo schema normativo del Governo Conte (decreto legge e DCPM): compatibilità costituzionale

Innanzitutto il Consiglio di Stato verifica se l’innovativo sistema normativo adottato durante l’emergenza sia o meno compatibile con la carta costituzionale e con il sistema delle fonti. Il particolare schema del Governo Conte prevedeva un decreto legge emanato dal Governo, che delegava al Presidente del Consiglio il potere normativo di livello secondario, attraverso lo strumento del DPCM. Solo in seconda battuta veniva consultato il Parlamento per la conversione in legge del decreto, come previsto dall’art. 77 Cost.

Si è trattato di un modo di procedere innovativo che si è discostato dalle opzioni tradizionali e costituzionalmente compatibili, già contemplate dall’ordinamento. La legge sul sistema sanitario nazionale (art. 32 L. 833/78) e il codice di protezione civile consentivano già al Ministro della Salute oppure al Presidente del Consiglio e al Capo della Protezione civile (art. 5 del codice della protezione civile – D.lgs. 1/2018) di emanare ordinanze contingibili e urgenti.

E tuttavia per il Consiglio di Stato lo schema utilizzato dal Governo Conte, pur discostandosi dal modello già previsto dall’ordinamento, sarebbe comunque conforme alle norme della Costituzione, producendo atti normativi sostanzialmente equiparabili a quei poteri di ordinanza previsti dalle norme sanitarie e da quelle di protezione civile. Inoltre, poiché nè la legge sul sistema sanitario né il codice di protezione civile sono leggi “rinforzate”, ben potevano essere derogate da un’altra legge di pari grado come appunto i decreti legge che hanno fatto da fondamento ai DPCM del Presidente Conte.

Il Consiglio di Stato giudica “logico e ragionevole, esclusa ogni valutazione di merito politico”, il fatto di aver attribuito il potere di emanare la normativa secondaria di emergenza all’organo monocratico, (ovvero al solo Presidente Conte), anziché all’organo collegiale (costituito dall’intero Consiglio dei Ministri). Ragioni di “speditezza e di semplificazione connesse alla specifica emergenza da pandemia” hanno spinto alla valorizzazione del ruolo di responsabilità del Presidente del Consiglio, sancito dall’art. 92 Cost.

Sempre ragioni di urgenza, “assoluta novità e inusitata gravità di questa emergenza globale, nonchè la scarsa conoscenza di questo fenomeno pandemico” giustificherebbero l’adozione di “misure ordinamenti emergenziali particolarmente rapide e duttili”. Non sarebbe stato possibile in concreto, secondo il CdS, prevedere tutte le restrizioni e i dettagli delle chiusure all’interno delle fonti normative di rango primario: “il decreto legge, per quanto agile e di rapida approvazione parlamentare, non avrebbe consentito, nel sopra descritto contesto storico, la duttilità, l’adattabilità e la flessibilità necessarie ad aderire plasticamente alla continua mutevolezza delle condizioni oggettive di sviluppo e andamento della pandemia”.

Il Consiglio di Stato, a sostegno della propria decisione, richiama anche un recente passaggio della Corte costituzionale (sentenza 12 marzo 2021 n. 37) sulla compatibilità del sistema dei DPCM con il disegno costituzionale.

“Il profilo fondamentale” si legge nella motivazione del CdS “che assicura la costituzionalità (sostanziale e non solo formale) di questo sistema” sarebbe costituito dal fatto che i decreti legge definivano gli ambiti materiali, le condizioni e i limiti all’esercizio del potere emergenziale del Presidente del Consiglio.

Uno spiraglio per future impugnazioni: violazione dei diritti fondamentali coperti da “riserva di legge”

E tuttavia proprio questo passaggio della motivazione apre un varco interessante. Il Consiglio di Stato precisa infatti che la costituzionalità di questo modo di procedere riguarda “la possibile compressione di diritti individuali non presidiati da riserve assolute di legge”, lasciando quindi intendere che il giudizio potrebbe cambiare radicalmente se si avesse riguardo ad altri diritti fondamentali, come la libertà personale (art. 13 Cost.), il domicilio (art. 14), la libertà di circolazione (art. 16), di associazione (art. 18) o di manifestazione del pensiero (art. 21). Il ricorso del ristoratore in effetti si limitava a censurare la violazione dei “diritti al lavoro e alla libera iniziativa economica”, “ ma (sottolinea il Consiglio di Stato) non anche altri e diversi profili, che qui non vengono in rilievo, concernenti il rapporto delle contestate misure limitative con altre libertà personali coperte da riserva assoluta di legge”.

Le restrizioni per i ristoratori e il principio di precauzione

Altro gruppo di censure sollevate dal ristoratore marchigiano riguardavano l’asserita mancanza di fondamento scientifico della chiusura dei ristoranti, quando altre attività commerciali aperte al pubblico restavano libere. Il Consiglio di Stato ha ritenuto “non illogiche, né irrazioniali” le scelte del Governo, ma anzi, “adeguatamente fondate su una sufficiente istruttoria tecnico-scientifica” e “nel complesso proporzionate e ragionevoli, alla stregua del principio di precauzione in funzione della migliore tutela della salute pubblica”.

E’ vero che, come ricorda il Giudice amministrativo, il principio di precauzione deve essere contemperato con quello di proporzionalità, ma è anche vero che nel caso concreto la proporzionalità deve essere sempre misurata in base al livello di rischio. Tanto maggiore è il rischio tanto più una norma di precauzione diventa proporzionata. L’iniziale incertezza della comunità scientifica sul comportamento del virus e l’imprevedibilità dei rischi indotti da attività commerciali potenzialmente pericolose, avrebbe quindi giustificato l’azione di prevenzione anticipata da parte del Governo.

Se questa è la premessa, sembra giusto desumerne che, con il consolidarsi delle conoscenze scientifiche sul Covid-19, che inevitabilmente riducono il rischio, rendono possibili azioni sempre più mirate di prevenzione, il campo di applicazione del principio di precauzione si va restringendo. Vale a dire che le odierne restrizioni precauzionali, se pur legittime nel terribile anno 2020, potrebbero nel frattempo aver perso compatibilità costituzionale.

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.