Il Testo unico 1124 dell’assicurazione infortuni sul lavoro compie 50 anni e li dimostra

Il 30 giugno il decreto legislativo 1124 del 1965 compie cinquanta anni, sempre meno “unico” sommerso, come è stato, dal combinato di leggi, di interventi della Corte costituzionale, dell’opera di una giurisprudenza impegnata in una rilettura di singole norme costituzionalmente orientata; quasi una sorta di ”diritto pretorio” parallelo alla legislazione ordinaria.

Chi scrive ha iniziato la propria esperienza lavorativa all’indomani della entrata in vigore della nuova normativa fra entusiasmi di molti, critiche da parte di chi non ne condivideva singoli aspetti o considerava un rafforzamento di una tutela “a posteriori” che finiva per assorbire tutte le risorse privandone così la prevenzione.

Gli anni e le esperienze successive, peraltro, hanno confermato il ruolo essenziale della tutela assicurativa via via raffinata in ottica prevenzionale, facendo al tempo stesso emergere  i limiti della soluzione adottata con il Testo unico come sottolineato dal Ferrari ( in Infortuni sul lavoro e malattie professionali, 1998, p.10) che,  protagonista della stesura del Testo, ne è stato poi lettore lucido nella interpretazione e per la pratica quotidiane (L’A., così, ricorda come molti guardassero al T.U. come modello al quale avrebbe potuto ispirarsi il legislatore…,nel processo riformatore dell’intero sistema previdenziale, ma aggiunge che a distanza di anni l’esame della giurisprudenza…ci ha indotto a concludere che quel giudizio ottimistico debba essere riveduto così come appare smentita dalle vicende successive la previsione di coloro che nel Testo unico vedevano un provvedimento destinato a rimanere e operare nel tempo).

Sarebbe ingeneroso sottolineare con il senno di poi i limiti della scelta rigidamente ricostruttiva di un quadro normativo che appariva all’epoca consolidato; consolidato e da perfezionare senza necessità di una rilettura dei suoi principi pur necessaria quanto meno alla luce del “fatto nuovo” nel frattempo intervenuto: la Costituzione che si considerava all’epoca solo un insieme di, esortazioni al legislatore per dare corpo alle indicazioni dei vari articoli. Solo successivamente, anche sotto i colpi di continue verifiche di costituzionalità di singole norme, negli anni è via via emersa l’inadeguatezza di un testo che, nel suo insieme sembrava proprio voler tener fuori dalla porta il diritto vivente, il mondo del lavoro in continuo cambiamento, la rivoluzione industriale, il mutato assetto istituzionale con la nascita delle Regioni, il rilievo del diritto alla salute, la spinta per ribaltare i rapporti fra prevenzione e assicurazione.

Rispetto alle certezze del ‘65 – quasi un’eco dei sogni di tanti “corpus conclusivi”  – si trattava certamente di fermenti ancora confusi che avrebbero potuto essere colti, tuttavia, già con una riscrittura che conferisse nuova coerenza ed equilibrio ai 296 articoli complessivi: una gran massa frutto di una scelta che ha finito per ingessare i contenuti in modo abnorme inglobando  tutte le norme previgenti, a prescindere dal diverso livello e privando così norme regolamentari di snellezza e elasticità. (Una rigidità che poi si è cercato di superare prevedendo la possibilità di modifiche “amministrative” che non toccassero diritti soggettivi: opportunità colta, per profili essenziali, solo per l”autoliquidazione” del premio).

Come pure, si ritenne doveroso riproporre un complesso (pur se di avanguardia per l’epoca) sistema di finanziamento dell’assicurazione in agricoltura che mostrava già nel testo tutta la sua astrattezza tanto che le risorse continuarono a essere acquisite con un’addizionale sulla imposta fondiaria (meccanismo superato poi per il venir meno dell’imposta fondiaria, base per il versamento).

Su un altro versante, ritengo che fosse grave, pur nella apparente marginalità, il non aver riscritto l’elenco delle prestazioni mettendo a capo, seguendo l’ordine logico, quelle sanitarie con una scelta di forte valore simbolico nel codificare l’impegno istituzionale che, pure, aveva da poco completata una imponente rete di nosocomi per potenziare il sistema di cura e riabilitazione e valorizzare così la funzione primaria  di “restitutio ad integrum” del servizio pubblico.

Certamente, si trattava di limiti difficilmente intuibili all’epoca e compensati da una lettura del nuovo Testo che, come si è accennato, appariva opera di alto valore strategico, solida base per poter progressivamente far evolvere i diversi istituti dell’assicurazione e, più oltre l’intero assetto della previdenza sociale.

E certamente già allora era possibile intravedere la possibilità di intraprendere un percorso virtuoso che a partire dalla consapevole rilettura dei principi si snodasse nella loro traduzione in specifici interventi; virtuoso ma sistematicamente rifiutato da un legislatore e da una politica che hanno preferito interventi sparsi, pur migliorativi dei livelli  di tutela, con una affannosa rincorsa  appresso al diritto vivente e ricorrenti contraccolpi di riforme “epocali”  su questo o quel “pezzo” dell’assicurazione e, quindi, sull’impianto del suo Testo unico. (Negli anni, ad esempio, si è assistito a una sistematica assimilazione di momenti significativi dell’assicurazione INAIL ad altre forme di previdenza sociale e di gestione finanziaria di entrate “pubbliche”). Di pari passo si è consolidata una deriva volta a ampliare il campo dei soggetti protetti fuori dal sistema INAIL, mentre lo stesso tentativo di una riforma organica con il decreto 38/2000 sembra naufragato nella funzione di volano per un compiuto riordino dell’intero assetto normativo.

Oggi, quindi, il Testo del 1965 appare come una sfilata di articoli, a volte abrogati, a volte illegittimi, spesso da leggere con l’ausilio di altre norme, di interpretazioni di studiosi o giudici: così, per tutte, il mix degli articoli 1 e 4 da ricostruire di volta in volta nel quotidiano per valutare la indennizzabilità del caso con continue oscillazioni di merito e legittimità da noi segnalate, da ultimo, per un caso emblematico di indennizzo negato per un infortunio di  lavoratrice scivolata – nel percorso da postazione di lavoro a fotocopiatrice – su una matita in quanto si sarebbe trattato di un rischio generico (Infortunio sul lavoro e matita.

Spunti di riflessione per un nuovo Testo unico dell’assicurazioneinfortunisul lavoro).

Da ciò la ricorrente sollecitazione per una riedizione “unificante” per restituire organicità al sistema assicurativo quale componente di un modello di tutela continua: dalla prevenzione primaria a quella secondaria, passando per la cura e la restitutio ad integrum fino a concludersi con il ristoro indennitario e la presa in carico di riabilitazione sociale e professionale. Un modello di tutela pubblicistica, autenticamente in linea con lo spirito e i dettami della Costituzione, capace di proporsi quale piattaforma ideale per una riconsiderazione complessiva dei danni da infortunio sul lavoro.

Allo stato peraltro è solo un “mantra” anche di chi scrive, nemmeno ascoltato da politica e Parlamento, piuttosto impegnati ad ampliare la sfera dei soggetti coperti dalle prestazioni assicurative che perdono così il loro valore indennitario per scivolare inesorabilmente nel mondo dell’assistenza sociale sia pur riscritto. E’ un affastellarsi continuo di interventi spot che affastellano prestazioni e servizi seguendo tutte le spinte rendendo comprensibile lo sconcerto di Cottarelli che ha criticato la proliferazione di benefici con una lettura superficiale e sbagliata, resa possibile però proprio dalla navigazione a vista che si privilegia.

Lungo questo percorso la stessa funzione indennitaria della tutela è inesorabilmente attratta nelle sabbie mobili della assistenza dove tutto può discutersi all’ombra di principi di giustizia, equità ecc. (Equità e quindi, inserimento nel calcolo dell’ISEE, la rendita infortuni trascurando, anche con fastidio, le obiezioni di quanti ne rivendicano la funzione risarcitoria; estendendo benefici amianto a soggetti comunque esposti al rischio, confusi in definitiva con quelli esposti per il proprio lavoro).

Buon compleanno, quindi, al Testo unico 1124 che continua a essere un suggestivo riferimento (a volte forse un intralcio) per un sistema assicurativo che, nonostante tutto, inanella progressi e successi: a volte estemporanei, ma più spesso “sistematici” e forieri di ulteriori sviluppi, resi possibili anche per l’azione di interpreti e giudici per un “diritto vivente” in continua evoluzione.

Reso possibile, soprattutto, dall’impegno amministrativo e gestionale volto a recepire, certo con cautela, detto diritto e soprattutto a ricostruire tenacemente il percorso di presa in carico dell’infortunato con un filo conduttore che, seppur implicito nel Testo unico 1124 – è sembrato poi esser tranciato di netto da riforme “epocali” succedutesi negli anni. Un impegno costante sempre un passo avanti al legislatore, poi trainato fino a una ricostruzione della “continuità” che, ormai pressoché completata, potrebbe offrire lo spunto per un nuovo Testo unico della assicurazione che, in continuità con quello della prevenzione, darebbe senso strategico all’unificazione di ISPESL con INAIL troppo spesso letta come operazione di spendig review, magari di facciata.

(www.StudioCataldi.it)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.