INFORTUNI SUL LAVORO, IL DATORE DEVE INSEGNARE AL DIPENDENTE QUANDO FERMARSI

 Stretta della Suprema Corte sugli obblighi di formazione dei dipendenti. Chi utilizza macchinari pericolosi non solo deve essere istruito sulle attività di propria pertinenza, ma deve sapere fino a dove può spingersi in caso di anomalie e, dunque, ciò da cui astenersi, proprio perché ad altri riservato. Un alto numero di infortuni, infatti, si verifica proprio perché questo confine non è ben chiaro ai dipendenti. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 44106 del 23 ottobre 2014.

IL FATTO Il caso trae origine da una sentenza con cui la Corte d’Appello, riformando la decisione del giudice primo grado, ha assolto un datore di lavoro dal reato di omicidio colposo commesso con violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro e della contravvenzione di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 626/94 (formazione ed addestramento), vigente ai tempi del sinistro.

Nei fatti un lavoratore, addetto alla conduzione della macchina raccoglibietole, nel corso dell’operazione di sostituzione di una delle ruote anteriori, si era portato nella parte posteriore della macchina, aveva rimosso la vite che univa la leva di comando del sensore dello sterzo al sensore stesso ed era rimasto schiacciato fra il supporto dei pistoni dello sterzo e la ruota posteriore sinistra, riportando lesioni che ne avevano cagionato la morte.

Al datore di lavoro era stato contestato di non aver provveduto a fornire di adeguata e specifica formazione il dipendente in relazione ai rischi connessi all’attività svolta, sicché questi aveva eseguito una manovra di estrema pericolosità senza essere consapevole dei rischi ai quali in tal modo si esponeva.

A differenza di quanto affermato dal giudice di primo grado, la Corte di Appello ha ritenuto che alcun addebito potesse essere mosso al datore di lavoro in quanto “al datore di lavoro non incombeva l’obbligo di fornire specifica formazione sul funzionamento di tutte le parti della complessa macchina raccoglibietole, ivi comprese quelle relative agli apparati elettro-idraulici che comandavano le molteplici funzioni”: per la Corte distrettuale “l’adeguata e specifica formazione non poteva essere estesa a quelle operazioni tecniche complesse riservate a personale altamente specializzato”. Sotto altro aspetto il collegio distrettuale ha ritenuto la persistenza di un ineliminabile dubbio in ordine al nesso di causalità, avendo il lavoratore posto in essere un’azione esulante dalle sue mansioni di addetto alla conduzione della macchina in questione, azione riservata a personale specializzato della ditta costruttrice, ed avendo quindi posto in essere un’azione abnorme, anomala, imprevedibile.

Nel ricorso per cassazione, il Procuratore Generale della Repubblica deduce che, al contrario di quanto affermato dalla Corte d’Appello, l’incompetenza e l’ignoranza del lavoratore dovrebbero essere considerate causa di prevedibilità di un suo agire scorretto, dettato proprio dalla non percezione dei rischi conseguenti alla mancanza di informazioni minime circa il funzionamento della macchina. Rileva l’esponente che l’assenza di attività di addestramento in ordine al corretto uso della macchina si pone quale causa dell’incidente occorso al lavoratore, il quale avrebbe dovuto essere adeguatamente preparato a compiere piccoli interventi di manutenzione, essendo gli autisti i primi ad essere interessati alla ottimale regolazione dello sterzo, come ritenuto anche dalla sentenza di primo grado. La sentenza impugnata, peraltro, risulta – ad avviso dell’accusa – contraddittoria anche nella parte in cui sostiene che la mancanza di informazioni in ordine al meccanismo che ha causato l’incidente fosse giustificata perché la vittima era addetta unicamente alla conduzione del mezzo. Tanto però contrasta – continua l’accusa – con le risultanze del processo di primo grado, in base alle quali il giudice di prime cure ha ritenuto verosimile che la regolazione dello sterzo fosse effettuata anche presso la ditta alle cui dipendenze era il lavoratore deceduto e non esclusivamente da parte della ditta produttrice.

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LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso del Procuratore. Premettono gli Ermellini che, a mente del citato art. 38 (oggi trasfuso, in una disposizione maggiormente analitica, nell’art. 73 D.Lgs. n. 81/2008), il datore di lavoro si assicura che: a) i lavoratori incaricati di usare le attrezzature di lavoro ricevono una formazione adeguata sull’uso delle attrezzature di lavoro; b) i lavoratori incaricati dell’uso delle attrezzature che richiedono conoscenze e responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici ricevono un addestramento adeguato e specifico che li metta in grado di usare tali attrezzature in modo idoneo e sicuro anche in relazione ai rischi causati da altre persone. La norma va letta tenendo presente la previsione dell’art. 35, comma 5, del D.Lgs. n. 626/94, esplicitamente richiamata dall’art. 38, la quale prende in considerazione le attrezzature che richiedono per il loro impiego conoscenze o responsabilità particolari in relazione ai loro rischi specifici; in tal caso è prescritto che il datore di lavoro si assicuri che l’uso dell’attrezzatura di lavoro sia riservato a lavoratori all’uopo incaricati e che in caso di riparazione, di trasformazione o manutenzione, il lavoratore interessato sia qualificato in maniera specifica per svolgere tali compiti. Va anche rilevato che la formazione, della quale oggi l’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2008 da una definizione legale valevole in ambito prevenzionistico, è “il processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi”.

Da tali disposizioni si ricava che, ove si tratti della formazione riguardo all’uso di macchine complesse, la formazione adeguata della quale fanno parola gli artt. 38 e 35 comma 5 citati non si esaurisce nella fornitura di nozioni teniche atte ad eseguire una determinata operazione; essa è piuttosto la creazione o il rafforzamento di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei compiti assegnati; competenze che a seconda dei casi prospettano unfacere o un non facere. Detto altrimenti, l’obbligo di formazione, quando si tratti di attrezzature di elevata complessità, suscettibili di richiedere operazioni riservate a personale specializzato, non implica unicamente di far conoscere ciò che deve essere fatto ma anche ciò da cui astenersi, proprio perché ad altri riservato. Una riprova, neppure troppo indiretta di quanto si va affermando, è nella previsione di legge (al tempo del commesso reato, recata dall’art. 37, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 626/94; oggi dall’art. 73, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 81/2008) secondo la quale il datore di lavoro provvede affinché per ogni attrezzatura di lavoro a disposizione, i lavoratori incaricati dispongano di ogni informazione e di ogni istruzione d’uso necessaria in rapporto alla sicurezza e relativa alle situazioni anormali prevedibili. L’attività di informazione si distingue da quella formativa perché ha ad oggetto il trasferimento di conoscenza, senza che ciò implichi necessariamente la ‘costruzione’ di un saper fare. Tuttavia è evidente che quest’ultima incorpora la prima.

Di conseguenza la Suprema Corte formula il seguente principio di diritto: “in tema di infortuni sul lavoro, l’attività di formazione del lavoratore prevista dall’art. 38 D.Lgs. n. 626/94 – ed oggi dall’art. 73 D.Lgs. n. 81/2008 -, ove si tratti dell’utilizzo di macchine complesse, talune operazioni sulle quali siano riservate a personale con elevata specializzazione, non si esaurisce nell’informazione e nell’addestramento in merito ai rischi derivanti dall’utilizzo strettamente inteso ma deve tener conto anche dei rischi derivanti dalla diretta esecuzione delle operazioni ad altri riservate”.

Erroneamente, invece, la Corte d’Appello ha ritenuto che il conducente del mezzo non fosse esposto al rischio specifico derivante dall’intervento sul sensore dello sterzo perché ha giudicato che l’operazione fosse riservata a personale altamente specializzato. Diversamente, la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che, proprio in ragione del fatto che si trattava di operazioni rigorosamente riservate a personale altamente specializzato, l’attività di formazione non poteva non comprendere anche le informazioni e le direttive volte a far conoscere al lavoratore l’esistenza di operazioni che, concernenti il mezzo meccanico al quale egli era addetto, erano tuttavia da compiersi a cura di personale specializzato; a dotarlo di istruzioni circa il comportamento da assumere laddove tali operazioni si fossero rese necessarie nel corso dell’utilizzo da parte sua del macchinario in questione; dei rischi ai quali egli si sarebbe esposto non già eseguendo l’operazione ma qualora non avesse seguito le istruzioni appena ricordate. Il rischio specifico al quale il conducente del mezzo si trovava esposto, vista la complessità del mezzo affidatogli per la conduzione, era quello di non percepire tale complessità e quindi di assumere comportamenti non appropriati, a loro volta pregiudizievoli per se e per altri.

Peraltro, la sentenza impugnata – ad avviso degli Ermellini – incorre in violazione di legge anche per un diverso aspetto. Invero, non è corretto affermare che “sussiste ineliminabile dubbio anche sul nesso di causalità” perché il lavoratore deceduto compì un’azione che esulava dalle sue mansioni di addetto alla conduzione della complessa macchina. In tal modo la Corte territoriale ha adottato, ancora una volta, una prospettiva indebitamente riduzionistica delle mansioni affidate al lavoratore; queste certamente non comprendevano l’intervento sull’apparato elettro-idraulico, ma neppure è posto in dubbio dal Collegio territoriale che il lavoratore si sia portato nella parte posteriore del mezzo per motivi che non fossero quelli di intervenire su un’anomalia di funzionamento. In ciò vi è la scorretta esecuzione dei compiti affidati al lavoratore ma è proprio anche rispetto a tale evenienza che la giurisprudenza della Suprema Corte afferma, con ribadite decisioni, che non integra il “comportamento abnorme” idoneo a escludere il nesso di causalità tra la condotta omissiva del datore di lavoro e l’evento lesivo e mortale patito dal lavoratore il compimento da parte di quest’ultimo di un’operazione che, seppure inutile e imprudente, non risulta eccentrica rispetto alle mansioni a lui specificamente assegnate nell’ambito del ciclo produttivo”.

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.