La stretta del premier: “Salviamo il Natale”. Da oggi il nuovo Dpcm

Conte: «Proverei rabbia anche io, ma ci saranno i ristori economici». L’attacco di governatori e sindaci. La Lega prepara un ricorso al Tar

La mazzata è forte. Il governo non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma Giuseppe Conte si vede costretto a nuove regole, un nuovo Dpcm in vigore da oggi e fino al 24 novembre con strette in vari settori, da cinema e teatri chiusi a bar e ristoranti obbligati ad abbassare le serrande alle 18. «Noi non rincorriamo il virus, è il virus che corre molto veloce», dice. Lo dimostrano i dati, 21.273 nuovi contagi ieri, con 161.880 tamponi fatti, e 128 morti.

Bruciano però le polemiche: il centrodestra che lo critica, le proteste di piazza sfociate in violenza, le categorie infuriate, Confindustria e Confesercenti negative («faccio fatica a capire qual è la direzione», il commento di Carlo Bonomi), i sindacati pronti alla mobilitazione se non si prolungano la Cassa Covid e il blocco dei licenziamenti (in serata arriva la notizia di una convocazione di Cgil, Cisl e Uil per mercoledì pomeriggio), e per la prima volta pure Regioni e Comuni contrari a prescindere dai colori politici. Preoccupa la frattura istituzionale, dopo che Matteo Salvini veste i panni da premier-ombra e convoca in videoconferenza i tantissimi governatori del centrodestra, per ascoltare le loro lamentele e annunciare: «C’è l’ipotesi di un ricorso al Tar».

Conte deve inseguire, insomma. L’ondata dei contagi, e il malumore che sta esplodendo nel Paese. «Se fossi dall’altra parte anche io proverei rabbia, anche se dico di aspettare le misure di ristoro economico che sono cospicue», invita il premier, invitando però «a non dare spazio ai professionisti del disordine sociale». Prova a convincere con un paio di promesse. La prima: «A dicembre potrebbero arrivare le prime dosi del vaccino. Se gli impegni saranno confermati, potremo intervenire subito per somministrarli alle categorie più fragili ed esposte». E la seconda: «Se nel mese di novembre seguiremo le regole per tenere la curva sotto controllo, riusciremo così ad allentare le misure e affrontare dicembre e le festività natalizie con maggiore serenità».

Stavolta, però, è stata davvero una battaglia. I governatori lo avevano lasciato con la promessa di rivedersi sabato; nel frattempo gli avevano scritto una lettera con le controproposte. Di tutto ciò, il governo ha accettato solo di salvare la domenica di bar e ristoranti, ma sempre e soltanto fino alle 18.

«Il governo – commenta Luca Zaia, dal Veneto – ha scelto di fare questa strada da solo, approvando il Dpcm senza accogliere la minima modifica richiesta dalle Regioni. È emblematico, non è mai accaduta una cosa del genere».

Uno scontro assai aspro, però, s’è consumato anche nella maggioranza. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, fa sapere di essere «abbastanza soddisfatto». Nei desiderata del ministro, in realtà, c’era una zona arancione estesa a tutto il Paese e zone rosse per le aree critiche, ma «la vera vittoria» – ragionano fonti a lui vicine – è aver portato la maggioranza dei ministri su posizioni «di massima prudenza».

Poco prima di mezzanotte litigano invece il ministro della Cultura, Dario Franceschini, e quello dello Sport, Vincenzo Spadafora, che prova a salvare palestre e piscine. Ci era riuscito già la settimana scorsa, a patto che i Nas aumentassero i controlli. «E allora, su che basi si vogliono chiudere queste attività?», chiede il ministro dello Sport, mostrando i dati sul basso rischio. «I Nas non hanno messo neanche un sigillo». Ma Franceschini sbotta: «Non ci possiamo arenare di fronte al problema delle palestre».

La domanda su quali dati scientifici ci siano a supporto di certe scelte la pongono anche gli uomini di Renzi, sottolineando il «sapore amaro» per la chiusura alle 18 di bar e ristoranti. La ministra Teresa Bellanova chiede «da mesi» che Speranza e il suo staff condividano «il quadro di conoscenze» del Cts e degli esperti del suo ministero. «Vorremmo comprendere – lo incalza – per quale motivo, se il problema sono i trasporti pubblici, si pensa di risolverlo chiudendo palestre o ristoranti. Così la gente non li raggiunge più in autobus?».

E c’è un boccone avvelenato anche per Lucia Azzolina. Dopo aver scongiurato la chiusura di elementari e medie, chiesta da Leu e dal Pd, e aver ottenuto il 75% di didattica a distanza nelle superiori, è arrivata a Conte la richiesta dei governatori di aggiungere la parola «almeno». Almeno il 75% di lezioni si dovranno fare da casa. In modo da poter arrivare, senza colpo ferire, al 100%. Mozione accolta dal premier, anche per evitare la giostra delle ordinanze. (Fonte)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.