L’obbligo di sostituire il capocantiere in caso di una sua assenza

capocantiere-800x400Risponde questa sentenza della Corte di Cassazione alla domanda che spesso si pongono gli operatori di sicurezza nei cantieri temporanei o mobili e cioè su cosa fare nel caso di una assenza prolungata del capocantiere dal luogo di lavoro allorquando i lavoratori operano senza che nessuno provveda a controllare le loro azioni e a sorvegliare sugli stessi. Si è occupata la suprema Corte di un caso in cui durante l’assenza del capocantiere è accaduto un infortunio a due lavoratori caduti mentre lavoravano sulla copertura di una costruzione e che pur provvisti di un’imbracatura di protezione non si erano assicurati a delle linee vita e senza che fossero state adottate altre misure di sicurezza a protezione dalla caduta dall’alto.

Nel caso di un infortunio sul lavoro, qualora il capocantiere cui sia stato delegato il compito di assicurare il rispetto e l’osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sia assente, ha sentenziato la Corte di Cassazione, deve essere ascritta a colpa del datore di lavoro la mancata previsione della sua assenza, eventualmente anche con la diretta e personale assunzione del suo compito, anche quando l’infortunio sia eventualmente riconducibile alla omessa adozione, da parte del lavoratore, delle misure di sicurezza obbligatoriamente prescritte. Né varrebbe ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, ha quindi aggiunto, il fatto di non sapere dell’assenza sul luogo di lavoro della persona addetta al compito di sorveglianza atteso che egli, quale destinatario delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha l’obbligo di accertarsi della sua presenza in cantiere.

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L’evento infortunistico e l’iter giudiziario

La Corte di Appello ha integralmente confermata la sentenza, appellata dal legale rappresentante di una ditta, con la quale il Tribunale, all’esito del dibattimento, lo aveva riconosciuto, in qualità di datore di lavoro, responsabile del reato di lesioni colpose gravi, con violazione della disciplina antinfortunistica, nei confronti di due dipendenti condannandolo in conseguenza alla pena di giustizia oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile  da liquidarsi da parte del giudice civile, con assegnazione di provvisionale, ed alla refusione delle spese dalla stessa sostenute.

Il datore di lavoro, legale rappresentante della società era stato ritenuto responsabile delle gravi lesioni e fratture riportare dai due lavoratori dipendenti precipitati dall’altezza di sei metri mentre lavoravano sulla copertura di un tetto a causa della rottura di alcune lastre, per colpa, sia generica che specifica e in particolare per la violazione dell’art. 71, comma 4, lett. a), del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81. Il Tribunale e la Corte di Appello avevano ritenuto l’imprenditore responsabile per avere consentito che i due lavoratori, il giorno dell’infortunio, lavorassero in quota provvisti sì dell’imbracatura ma non assicurati alle linee-vita, linee-vita che, peraltro, erano agganciate a due paletti infissi in un cemento friabile e mancanti di alcune viti. Era risultato, altresì, che alcune parti del meccanismo della linee-vita non erano nemmeno state installate, tanto che alcuni componenti dello stesso erano state trovate sul tetto (il cordino, il dissipatore e l’avvolgitore) ed altre, invece, erano state rinvenute dai tecnici della ASL ancora dentro la confezione. Gli stessi tecnici della ASL avevano accertato inoltre che, anche ove i lavoratori fossero stati agganciati alle linee-vita, le stesse non avrebbero retto in caso di caduta e che non era stato rispettato il “tirante d’aria”, cioè lo spazio che doveva essere mantenuto libero per evitare che, in caso di caduta, gli operai sbattessero contro i macchinari presenti nella zona sottostante, cosa che era accaduta nel caso in esame per cui, in tali concrete condizioni l’aggancio alla corda sarebbe stato, secondo la valutazione dei giudici di merito, del tutto inutile.

Era stato messo in evidenza, inoltre, nelle sentenze di merito che il capocantiere e responsabile della sicurezza era assente da giorni e che non era stato rimpiazzato da nessuno. La ditta, in risposta ad una richiesta della ASL successiva all’infortunio, aveva trasmesso un documento con la nomina proprio del lavoratore infortunato che, però, era risultato non avere competenze adeguate. Con riferimento alla sua sostituzione, lo stesso capocantiere aveva dichiarato che sapeva che qualcuno, di pari esperienza, avrebbe dovuto sostituirlo, ma non sapeva che cosa in concreto si fosse deciso, mentre gli altri operai escussi avevano dichiarato che non vi era stata alcuna nomina di un sostituto del capocantiere e che, quindi, si erano organizzati tra loro. Il datore di lavoro, inoltre, secondo la ricostruzione del Tribunale e della Corte di Appello, oltre a non avere nominato il sostituto del capocantiere, il giorno dell’infortunio non si trovava in cantiere.

Il ricorso in cassazione e le motivazioni

L’imputato è ricorso in cassazione tramite il proprio difensore chiedendo l’annullamento della sentenza sostenendo fra le motivazioni che il Tribunale aveva attribuito credibilità alle parole della parte civile che aveva riferito che i due lavoratori non erano legati per un preciso ordine del datore di lavoro dettato dalla fretta di proseguire le lavorazioni e che le linee-vita erano state ritenute incomplete ed irregolarmente installate senza che fosse stata svolta alcuna verifica sull’effettivo funzionamento delle stesse. I due lavoratori invece, secondo il ricorrente, avevano volontariamente sganciato le imbracature, circostanza che avrebbe interrotto il nesso causale rispetto alla sua condotta, sicché sarebbe divenuto irrilevante, secondo lo stesso, verificare la regolarità nell’installazione e la efficienza delle linee-vita.

L’imputato ha sostenuto nel ricorso che non vi era in atti alcuna prova che il cavo di protezione fosse inidoneo, che la presenza di pezzi non montati del sistema di protezione avrebbe dimostrato in modo chiaro la negligenza dei lavoratori e che, pur in assenza di una seconda linea-vita, in astratto sarebbe potuta bastare anche solo una di esse. La friabilità sostenuta del cemento su cui erano infissi i paletti di sostegno, inoltre, era stata desunta dai giudici di merito solo ed esclusivamente dall’esame visivo di alcune fotografie e non era stato oggetto di accertamento da parte degli operatori della ASL. Non è compito del datore di lavoro, ha ancora sostenuto l’imputato, quello di seguire “passo passo” i dipendenti, mentre spetta al responsabile di cantiere in materia di sicurezza o preposto vigilare e riferire al datore di lavoro su eventuali mancanze nelle attrezzature e nelle misure di sicurezza, cosa che non è stata fatta nella circostanza.

In merito all’assenza del capocantiere, non vi era alcun obbligo, secondo il ricorrente, di nominare formalmente il sostituto e, comunque, l’infortunato aveva le competenze per svolgere le mansioni di sostituto preposto alla sicurezza in conseguenza dell’allontanamento dello stesso capocantiere, avendo lo stesso frequentato idonei corsi, essendo emersa la sua competenza anche dalle parole degli ispettori della ASL e di un collega ed avendo lo stesso lavoratore persino conseguito l’abilitazione di addetto alle attività di rimozione, bonifica e smaltimento dell’amianto per cui doveva, per anzianità, subentrare al capocantiere. Comunque il responsabile della sicurezza, secondo lo stesso ricorrente, non era tenuto a vigilare “passo passo” né ” a vista” sui dipendenti ma sul funzionamento e sul corretto utilizzo degli strumenti di sicurezza approntati, per cui la presenza del preposto doveva essere sì assidua ma non costante. L’infortunio in definitiva, secondo il ricorrente, sarebbe avvenuto per imprevedibile iniziativa autonoma dei due lavoratori, che ad un certo punto avevano deciso di sganciarsi.

Le decisioni della Corte di Cassazione

Il ricorso è stato ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione che lo ha pertanto rigettato. La stessa ha messo in evidenza che il quadro di insieme che emerge dalle sentenze di merito e persino dal contenuto dello stesso ricorso dell’imputato è quello di un cantiere in cui l’aspetto della sicurezza dei lavoratori era del tutto trascurato e nonostante si lavorasse in quota (all’altezza di sei metri), le necessarie linee-vita non erano state nemmeno compiutamente installate, essendo stati trovati alcuni pezzi sulla copertura ed altri ancora nella scatola di imballaggio. Inoltre non si era preteso che gli operai si assicurassero né era stato rispettato il “tirante d’aria”, cioè lo spazio che andava mantenuto libero per evitare che, in caso di caduta, come in effetti accaduto, gli operai sbattessero contro i macchinari presenti nella zona sottostante. Il capo cantiere e responsabile della sicurezza, assente da giorni, non era stato sostituito, sicché gli operai presenti sul luogo di lavoro si autoorganizzavano quanto alla sicurezza e ancora il datore di lavoro non era mai presente sul cantiere. Né il documento, allegato dall’imputato al ricorso di legittimità, relativo alla frequenza da parte di lavoratore infortunato di un corso per addetto alla rimozione, bonifica e smaltimento dell’amianto era, con ogni evidenza, da considerarsi equivalente all’attestazione di competenza professionale per gestire la sicurezza di un cantiere in quota, che, in ogni caso, non era risultata espressamente delegata dall’imprenditore allo stesso infortunato.

Del resto, ha così concluso la suprema Corte, secondo un tradizionale e sempre valido insegnamento della stessa “nel caso di infortunio sul lavoro, qualora il capocantiere cui sia stato delegato il compito di assicurare il rispetto e l’osservanza delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro sia assente, deve essere ascritta a colpa del legale rappresentante della società, datrice di lavoro, la mancata previsione della supplenza di tale soggetto, eventualmente anche con la diretta e personale assunzione del suddetto compito, anche quando l’infortunio sia eventualmente riconducibile alla omessa adozione, da parte del lavoratore, delle misure di sicurezza obbligatoriamente prescritte; né ad escludere la responsabilità del legale rappresentante della società varrebbe l’eventuale ignoranza dell’assenza dal luogo di lavoro della persona addetta al compito in questione, atteso che egli, quale destinatario delle norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha l’obbligo di accertarsi della relativa presenza in cantiere”.

Al rigetto del ricorso è conseguita la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel giudizio di legittimità, spese che sono state liquidate in complessivi 2.500,00 euro, oltre accessori come per legge.

(Gerardo Porreca)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.