Quanto vale un laureato? Sul mercato del lavoro poco

A 5 anni dal titolo di studio in molti guadagnano meno di un operaio in una media impresa. Indagine sui tre Atenei toscani, per scoprire che il ministro Poletti non aveva poi tutti i torti

È l’enigma della maggior parte degli universitari: fare più esami possibili senza farsi frenare dal voto o non lasciarsi prendere dalla fretta e puntare sulla qualità? Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha sentenziato: «Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio un 97 a 21 anni». Un’uscita che gli ha attirato diverse critiche, anche perché il ministro ha poi definito «un attrezzo vecchio» l’orario di lavoro. Ma non sono (solo) provocazioni, il tema del rapporto tra Università e mondo del lavoro è centrale e molto delicato. Sul palco della stazione Leopolda, nella serata di Corriere Imprese Toscana, il sottosegretario Luca Lotti ha ammesso al direttore Paolo Ermini: «Quella di Poletti è stata una risposta un po’ goffa, ma il tema di come è cambiato il mercato del lavoro è decisivo: occorre smettere di leggerlo con gli schermi di 40 anni fa». Il tutto a pochi giorni dall’annuncio dell’Ocse che colloca l’Italia all’ultimo posto per numero di giovani laureati tra i 34 Paesi più industrializzati al mondo e in una difficile fase per il sistema universitario alle prese con l’emorragia di matricole.

L’Italia non è (più) un Paese per laureati? I numeri non sono incoraggianti, e non solo quelli dell’occupazione. Brutte notizie arrivano anche dalla voce stipendi: basta leggere quanto guadagnano i laureati dei tre atenei toscani a 5 anni dalla laurea magistrale per chiedersi — a conti fatti — quanto valga non solo il voto, ma proprio il titolo di studio, nel mondo del lavoro. Sono bassi i salari dei laureati toscani, seppur alla pari con quelli delle altre regioni. A 5 anni dalla laurea specialistica guadagnano mediamente 1.300 euro al mese, secondo i dati di Almalaurea. L’ultimo rapporto del consorzio (XVII indagine, 2015) mostra un quadro in cui anche chi guadagna di più è decisamente lontano dalla soglia dei 2 mila euro: 1.817 euro è lo stipendio mensile di un laureato in Medicina e Chirurgia all’Università di Firenze nel 2009, 1.665 quello di un Ingegnere, 1.676 quello di chi ha studiato Legge, 1.610 per chi si è laureato in Economia. E queste sono le cifre della retribuzione maschile, perché alle donne — anche se laureate nello stesso anno e nella stessa (ex) Facoltà — va ancora peggio, con un ribasso di 200 o addirittura 300 euro sullo stipendio mensile.

Anche all’Università di Siena a guadagnare di più sono i laureati uomini in Medicina (1.746), Economia (1.573), Ingegneria (1.483), stesso discorso a Pisa dove secondo i dati raccolti dal Consorzio Stella (ed elaborati dagli uffici dell’Ateneo) a sorridere sono soltanto i laureati in Giurisprudenza (1.850), in Ingegneria (1.726) e Medicina (1.721).

Il resto, la fetta più grossa dei laureati, porta a casa meno di un operaio. Dal XX rapporto sulle retribuzioni in Italia elaborato da Od&M emerge infatti che un operaio di una grande azienda guadagna 28.050 euro lordi (27.203 per la media impresa), ovvero circa 1.500 euro netti al mese escluse tredicesima e quattordicesima. E la retribuzione arriva fino a 29 mila euro l’anno in settori come engineering, auto, industrie petrolifere. Cifre ampiamente superiori rispetto ai 950 euro al mese di chi si laurea in Lettere e Filosofia (in tutti e tre gli atenei), più del doppio di un laureato in Lingue e Letterature straniere a Pisa (625 euro), in linea con gli stipendi di chi ha in tasca una laurea magistrale in Scienze Politiche, Architettura, Scienze Matematiche, Agraria ed ha trascorso almeno 5 anni alle prese con libri ed esami.

«Le retribuzioni dei laureati sono medio-basse e rispecchiano la storia della mancata evoluzione del mercato retributivo in questi anni e dunque la perdita di competitività che abbiamo avuto come sistema Paese — conferma Simonetta Cavasin, Ad di OD&M Consulting — I laureati recuperano competitività con gli anni, però nell’ultimo periodo questo non è avvenuto: con Jobs Act e legge di stabilità assistiamo ad una rimessa in moto, ma affinché si crei un mercato competitivo per i laureati ci vorrà un po’ di tempo». Quelli appena trascorsi sono stati anni terribili per i laureati. E non è certo che sia finita: «Al momento l’Italia non è un Paese per laureati — ammette Gaetano Aiello, direttore del dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa dell’Ateneo fiorentino — Anche l’Università ha le sue colpe, ma tutti devono assumersi le proprie responsabilità: bisogna favorire un circolo virtuoso, dove gli Atenei laureano più persone di qualità e in tempi brevi mentre le aziende si impegnano ad investire sui laureati come fonte di innovazione. Il problema non è solo quanto si resta all’Università, ma come sono stati spesi quegli anni».

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.