Mattia Corbetta (Ministero allo sviluppo economico) a un anno dall’entrata in vigore di Startup Visa: «Risultati incoraggianti. Abbiamo centinaia di società innovative a capitale straniero ma il Paese sembra non accorgersene. E parla poco inglese»
Nel primo anno il programma Italia Startup Visa ha raccolto 31 candidature. Non molte forse. Quale giudizio date di questo primo anno di vita del provvedimento? «Bisogna scindere il giudizio sui numeri dalla valutazione complessiva del programma. Quest’ultima è molto positiva. Italia Startup Visa ha scardinato la burocrazia che caratterizza la procedura standard di concessione dei visti per lavoro autonomo, innescando una vera e propria rivoluzione metodologica: il processo, che abitualmente è cartaceo, decentrato e complicato, nel caso di Italia Startup Visa avviene esclusivamente online, è centralizzato, semplificato e accelerato, tanto che si chiude entro 30 giorni dalla ricezione della candidatura. Far funzionare una procedura così innovativa era una scommessa: il front office è curato dal Ministero dello Sviluppo Economico ma dietro le quinte sono coinvolti altri tre Ministeri (Esteri, Interno e Lavoro), più le ambasciate e i consolati, le questure e le cinque associazioni dell’ecosistema chiamate a valutare le candidature. A distanza di un anno possiamo dire che la scommessa è stata vinta: la procedura funziona senza intoppi e i destinatari del visto, una volta giunti in Italia, creano startup innovative, alimentando il nostro ecosistema. Questo primo anno ci ha permesso di rodare la sperimentazione e affinare il processo. Anche i Paesi Bassi, che di recente hanno avviato un programma analogo, hanno registrato numeri simili. Ora occorre crescere in termini quantitativi. Di recente Italia Startup Visa ha gemmato il programma Italia Startup Hub che estende la stessa procedura semplificata alla conversione di permessi di soggiorno per ragioni di studio in permessi per lavoro autonomo in startup: in pratica, un talento extra-Ue impegnato in un centro di ricerca, in un ateneo o in un laboratorio italiano, al termine del percorso accademico può proseguire la propria permanenza per avviare una startup innovativa usufruendo di una procedura di trasformazione del permesso veloce e agevole. Oltre ad attrarre talenti, dobbiamo ambire a trattenere quelli che hanno già scelto il nostro Paese».
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Quali sono le maggiori difficoltà riscontrate dagli imprenditori stranieri nell’accedere al programma? «La maggiore difficoltà riscontrata dagli imprenditori stranieri si palesa dopo l’arrivo nel nostro Paese e riguarda la lingua: la diffusione dell’inglese è bassissima, anche tra i professionisti e i consulenti. Gli stessi media, anche quelli specializzati che pubblicano online, quando trattano di innovazione lo fanno solo ed esclusivamente in italiano. Questo è un segnale che ci deve mettere in guardia: in quale misura il nostro ecosistema dell’innovazione desidera aprirsi al mondo? È una domanda importante, perché le culle globali delle startup – San Francisco, Tel Aviv, Londra – sono innanzitutto crocevia di flussi internazionali di talento. Il discorso mediatico attualmente dominante ci abitua a contrapporre l’inefficienza del pubblico alla virtù del privato, e l’ecosistema dell’innovazione sembra investito da un’aura di quasi sacralità: poi, però, nella realtà avviene che il talento extra-Ue attratto dal programma Italia Startup Visa trovi un Ministero che offre tutte le informazioni in inglese, risponde in tempo reale alle email e chiude un processo non banale come quello propedeutico al rilascio del visto nel giro di due settimane; una volta giunto in Italia, per contro, quando cerca informazioni e reti, si trova al cospetto di un ecosistema dell’innovazione chiuso, inintelligibile, non abituato a comunicare con la lingua franca dell’economia globale».
Startup Visa non è certo l’unico indicatore dell’attrattività Italia sul tema innovazione. Quante sono le startup italiane che hanno al proprio interno capitale straniero? «Il report Infocamere sul secondo trimestre 2015 ci dice che, tra le 4.248 startup innovative iscritte al 30 giugno, quelle con una compagine societaria a prevalenza straniera sono 95, mentre quelle in cui almeno uno straniero è presente nella compagine societaria sono 533, il 12,6% del totale, quota superiore rispetto a quella che si rileva prendendo a riferimento tutte le società di capitali (10,2%). Purtroppo non c’è percezione di questa presenza estera nell’ecosistema nazionale dell’innovazione, il discorso mediatico – anche quello specialistico – è indifferente a questo fenomeno. E, salvo eccezioni, constato un generale disinteresse verso gli strumenti di condivisione dei dati che abbiamo messo a punto negli ultimi anni, come il report citato, che invece rappresenterebbero una importante fonte di informazione capace di alimentare un giornalismo oggettivo e qualificato, non fondato sulla narrazione di episodi estemporanei».
Quali sono i prossimi passi per rendere più attrattivo l’ecosistema Italia? «Negli scorsi mesi il nostro panorama normativo è stato arricchito da forti novità in tema di promozione dell’ecosistema dell’innovazione: la Direzione Generale per la Politica Industriale del Ministero dello Sviluppo Economico sta profondendo un notevole sforzo per renderli operativi nel minor tempo possibile. Mi riferisco al nuovo regime del credito d’imposta per le attività di R&S, che prevede una maggiorazione dal 25% al 50% per i costi sostenuti outsourcing – affidando ad esempio le attività a una startup innovativa – o relativi all’impiego di personale altamente qualificato. Il decreto è ora pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Il decreto attuativo sul Patent Box, che comporta forti vantaggi fiscali per i redditi derivanti da sfruttamento della proprietà intellettuale e che permette all’Italia di affrontare ad armi pari la concorrenza internazionale per l’attrazione di imprese innovative, è stato firmato in questi giorni dal Ministro Guidi. Nell’arco dei prossimi tre mesi vedremo venire alla luce molte delle novità introdotte a beneficio di startup e Pmi innovative con il decreto Investment Compact. Altre novità normative sono allo studio dei nostri uffici. Ma accanto a questo occorre un cambio di paradigma volto a una più forte propensione internazionale da parte del privato. Faccio un esempio. La procedura Italia Startup Visa prevede un’ulteriore accelerazione nel caso in cui il cittadino extra-Ue riceva una dichiarazione di ospitalità da parte di un incubatore certificato. In questa fattispecie, il Comitato si astiene dalla valutazione del business plan perché la volontà di accogliere l’imprenditore estero manifestata da una struttura di incubazione di comprovata competenza viene ritenuta prova sufficiente a dimostrare l’autorevolezza della candidatura. In Italia abbiamo 30 incubatori certificati: quanti hanno sfruttato il meccanismo per attrarre talenti globali? Solo uno. Un segnale che deve far riflettere: provvedimenti come il Decreto Crescita 2.0 e l’Investment Compact hanno creato un contesto normativo che ci mette quanto meno alla pari con gli altri ordinamenti avanzati a livello europeo nella promozione dell’imprenditorialità innovativa: ma siamo così sicuri che a fronte di tale cospicua offerta di politiche innovative corrisponda una domanda di politiche innovative altrettanto sostenuta?».