Sportelli pubblici e ambiente. Cosa accadrebbe se finalmente li eliminassimo

Sorpresa: nessuno sa il numero dei dipendenti destinati a dialogare con i cittadini in presenza. Eppure se fosse possibile fare tutto online si risparmierebbe in termini di tempo, costi ed emissioni di gas serra. Abbiamo fatto alcuni calcoli. “Ma si tratta di stime”, spiegano gli esperti. “Se la Pubblica amministrazione deve essere il motore della ripresa, per ora va male e non si ha un’idea precisa del suo funzionamento” 

“La Pubblica amministrazione? Sono 33mila diversi enti sparsi sul territorio e oltre tre milioni di dipendenti, dai medici agli impiegati. È una galassia della quale non sappiamo tutto”. Al ministero guidato da Renato Brunetta non hanno intenzione di aggiungere molto altro. Eravamo partiti da una domanda che a noi appariva semplice: Quanto risparmieremmo, in termini di forza lavoro e metri quadri negli uffici, se gli sportelli ai cittadini venissero ridotti al minimo e si passasse a un sistema digitale? Un’organizzazione che insomma permetta di scaricare un certificato qualsiasi con pochi click. Senza contare la riduzione di gas serra, visto che parte del personale eviterebbe di spostarsi per lunghi tratti. Nulla. Riceviamo come risposta una cartolina con l’immagine di un cosmo frastagliato e a tratti ignoto che ha ramificazione ovunque ma che nessuno alla fine ha davvero misurato. “Non sappiamo quanti sportelli ci sono, impossibile conoscerne il numero. Ne vengono aperti e chiusi in continuazione. Forse lo staff del ministro per l’innovazione tecnologica di Vittorio Colao ne sa di più”.

Facciamo un passo indietro, tornando a una mattina di luglio. Davanti all’anagrafe centrale del comune di Roma, palazzone in mattoni d’epoca fascista a due passi dal Campidoglio, si è già formata una fila. Sono le 7 e 30 e il sole minaccia inclemenza mentre la temperatura comincia l’ascesa verso i 32 gradi di mezzodì. Con l’emergenza sanitaria gli sportelli dell’anagrafe sono aperti solo in parte. Dunque, bisogna arrivare presto a prendere il proprio numero. Meglio: si sta in fila per arrivare davanti a un totem con schermo tattile che fornirà numero e orario al quale presentarsi per ottenere poi il documento richiesto. Alcune persone, in fila, sbuffano. C’è chi ha bisogno solo di un certificato di nascita con un timbro e per averlo, fra l’attesa di presentarsi al cospetto del totem e le due ore di buco fino all’appuntamento con l’impiegato, buona parte della mattinata è andata. “E pensare che a Napoli si fa tutto online”, racconta una ragazza con lo sguardo torvo di chi si è dovuto alzare presto e non è affatto convinta che ce ne fosse ragione.

Aumenta il digitale ma la fila si allunga

L’Ufficio studi della Cgia di Mestre, sezione della Confartigianato Imprese, partendo dai dati Istat, sostiene che negli ultimi 20 anni, malgrado la digitalizzazione di alcune pratiche, i tempi di attesa si sono allungati. Specie all’anagrafe dove rispetto al 2009 quei tempi sono cresciuti del 172,9%. In pratica, scrivono all’Ufficio studi, è come se in 20 anni la coda fosse aumentata di 20 persone. Al centro sud le situazioni più critiche in particolare nelle Asl di Calabria, Sicilia e Campania. Per l’anagrafe la maglia nera va invece al Lazio, che è seguito da Sicilia e Puglia. Le più virtuose sarebbero invece Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Veneto.

Meglio Napoli di Roma

“E’ vero, a Napoli si possono fare online pratiche che a Roma o perfino a Milano sono impossibili. Non c’è un standard comune né uno vero scambio di dati fra i vari enti”, conferma Marco Carlomagno, segretario generale della Federazione Lavoratori Pubblici e Funzioni Pubbliche (Flp). “Ed è altrettanto vero che calcolare quanti sportelli sono aperti in Italia è difficile. Possiamo solo azzardare delle stime generiche, diciamo circa il 7% del personale di un ufficio. Però una cosa la sappiamo: lo sportello è un retaggio di una visione feudale, che fa pagare al cittadino il suo potere mettendolo nella condizione del questuante. Supponga di avere un sistema completamente digitale. Vuol dire che le domande arrivano via mail, app o anche via appuntamento con videoconferenza per quelle più complesse. A quel punto non si ha solo il 7% a fare da interfaccia con il pubblico, ma sono tutti gli impiegati a intervenire secondo le competenze in base alla certificazione richiesta. Si può quindi anche valutare l’operato dell’ufficio stesso in base al numero di pratiche evase senza più scuse legate al collo di bottiglia del numero di sportelli aperti. E senza dover passare per la catena burocratica che smista le pratiche rallentando il processo e facendo entrare in gioco i ruoli gerarchici più che la risoluzione dei problemi nel minor tempo possibile”.

Una stima possibile

Andando per macroaree, la scuola occupa circa un milione di persone, mente la sanità arriva a 700mila. Le funzioni centrali, dai ministeri all’Inps fino alle agenzie tributarie, hanno 280mila dipendenti e 700mila sono quelli degli enti locali. Considerando che in questo universo non tutti hanno la necessità di avere degli sportelli, la Flp ipotizza che il personale destinato a parlare con il pubblico in presenza possa arrivare grosso modo a 70mila unità. Eppure, la forza lavoro che potrebbe gestire le richieste dei cittadini, in un regime digitale, potrebbe arrivare al mezzo milione di persone. Certo, bisognerebbe poi insistere sull’alfabetizzazione dei dipendenti come del pubblico in quanto ad uso dei mezzi informatici, ma è un aspetto sul quale è necessario puntare in ogni caso essendo uno degli obiettivi dei fondi del Next Generation Eu.

Il fronte del ritorno al passato

La risposta a questa possibile innovazione in Italia non si è fatta attendere. Il fronte anti smart working, del quale il ministro Brunetta si è messo a capo, rischia di frenare qualsiasi digitalizzazione su larga scala facendo tornare non solo e non tanto i dipendenti in ufficio, ma lasciando integri i vecchi sistemi di gestione che hanno ampiamente dimostrato la loro inadeguatezza. Il controllo a vista da parte dei dirigenti in ufficio e le valutazioni degli impiegati fatte più in base al tempo speso al suo interno che sui risultati raggiunti è inversamente proporzionale all’efficacia e allo snellimento della burocrazia.

Singolare la giustificazione della Iren, azienda a maggioranza pubblica che opera fra l’altro nella fornitura di energia e gas, che per prima ha deciso di riportare le lancette dell’orologio indietro. Nella lista delle controindicazioni dello smart working non si cita tanto il rischio di un carico di lavoro eccessivo e di orari che tendono ad allungarsi, ma quello della “marginalizzazione di persone con minori competenze digitali”. In pratica piuttosto che formarle per aumentare la loro professionalità, e mettere in discussione i processi lavorativi fin qui adottati, si è preferito livellare al ribasso. 

Si potrebbe pensare che digitalizzazione della pubblica amministrazione, la forte riduzione degli sportelli, lo smart working, l’impatto ambientale siano argomento diversi e l’aumento della produttività in ufficio siano temi differenti. In realtà, specie pensando alla sostenibilità, sono aspetti centrali fortemente interconnessi fra loro. Basti pensare che se il 50 per cento dei 3,2 milioni di dipendenti della pubblica amministrazione a rotazione potesse accedere al lavoro agile, 1,6 milioni di persone non dovrebbe tutte le mattine mettersi in macchina o salire su un mezzo pubblico. Dunque, lavorerebbero da casa o in ufficio nei pressi dell’abitazione per 110 giorni sui 220 totali in un anno.

Se i dipendenti pubblici non intasassero le strade per andare a lavoro

Bisogna tenere presente che secondo un’indagine condotta prima della pandemia da Forum Pa, il 39% di loro si recava in ufficio in macchina viaggiando da solo. Una macchina per una persona in quattro casi su dieci. La media percorsa era di 20 chilometri al giorno. Il costo secondo l’Aci, dal carburante alla manutenzione, è di 0,38 euro a chilometro con 0,18 grammi di CO2 emessi.

Ecco perché se un milione e 600 mila impiegati non salisse in macchina due o tre giorni la settimana, in un anno si risparmierebbero 1,4 miliardi di chilometri, 329 euro a persona per un totale di 526 milioni di euro che verrebbero spesi altrimenti e 165mila tonnellate di CO2. Cifre che vanno estese al settore privato e dunque moltiplicate per due visto che il totale di lavoratori che può usare lo smart working è di 5,5 milioni di persone. Risultato: 2,4 miliardi di chilometri non percorsi, 1,1 miliardi di euro circa spesi non per benzina e manutenzione dell’automobile e 330 milioni di tonnellate di CO2 non emesse. Due miliardi e 400 milioni di chilometri percorsi in un anno, per inciso, è come fare la spola fra Terra e la Luna seimila volte. Per quanto riguarda la riduzione degli sportelli il calcolo è più difficile. Non ci sono unicamente i 70mila dipendenti pubblici che sono probabilmente destinati a dialogare con i cittadini in presenza negli uffici, ma anche i cittadini stessi che vi si devono recare.

“Se la pubblica amministrazione è il motore della riprese, si tratta di un motore che non funziona bene”, commenta Gianni Dominici, a capo i Forum Pa. “Se poi i faldoni e la documentazione sono ancora di carta, digitalizzare la domanda online dei cittadini serve relativamente a poco. Il punto è che di questa macchina si hanno pochi dati e quindi si prendono decisioni al buio. E non parlo solo degli sportelli”. 

I calcoli che piacciono a Brunetta

Ora, non sapendo quanti sportelli sono aperti al pubblico non sappiamo bene nemmeno quante pratiche vengono evase con quel sistema né quanti metri quadri sono destinati ad accogliere i cittadini che in regime digitale potrebbero essere sfruttati in altra maniera. Ma è evidente che se la digitalizzazione diventa solo un’opzione e non una necessità e se si richiamano gli impiegati in ufficio tornando alle vecchie modalità, uno degli stimoli a chiudere gli sportelli verrà a mancare e questo si rifletterà in primo luogo sui cittadini che per raggiungerli dovranno salire in macchina o su un mezzo pubblico perdendo tempo e intasando le strade e continuando ad avere a che fare con una pubblica amministrazione lenta.

Brunetta ha sostenuto però che il ritorno in ufficio è legato anche all’indotto di bar, ristoranti e del trasporto. È perfino arrivato a sostenere che al rientro in ufficio è legato un giro di affari pari al 2% del prodotto interno lordo italiano, circa 40 miliardi di euro. Il calcolo deriva da una ricerca fatta dalla Mazziero Research, o meglio un semplice grafico pubblicato il 5 agosto accompagnato da un testo di una ventina di righe. Proviamo allora a contattare Maurizio Mazziero, il fondatore della società di ricerca nata nel 2008, per capire come si è arrivati a quel 2%. “I modelli di calcolo non sono resi noti in quanto proprietari”, risponde lui stesso. E rimanda ad un articolo dove le iniziali venti righe sono state ampliate ma aggiungere poco su come quel calcolo è stato realizzato in concreto se non che si è andati per deduzione.

“Considerando che attualmente la manifattura, nel suo complesso, ha più che ripreso la capacità produttiva e le esportazioni stanno procedendo positivamente, la parte mancante è quella relativa ai servizi e in particolare a quelle attività che ancora non hanno avuto modo di recuperare pienamente. Fra queste vi sono anche settori che nulla hanno a che fare con lo smart working come, ad esempio, lo svago e l’intrattenimento, tuttavia queste incidono marginalmente. Vi sono invece settori come ristorazione collettiva, caffetteria, abbigliamento e altre attività indotte come i trasporti che hanno maggiormente risentito da una minore attività lavorativa in presenza, e proprio da questi settori è mancato il contributo sui fattori di crescita. Secondo le nostre stime la piena ripresa delle attività in presenza consentirebbe di colmare ulteriormente il gap del Pil rispetto ai livelli pre-pandemici, fornendo una crescita aggiuntiva di circa il 2% su base annua (stima approssimativa dopo 12 mesi dal rientro)”.

Il processo per via analitica, aggiunge Mazziero, sebbene dovrebbe fornire risultati più precisi, in realtà presenta delle criticità per la frammentarietà dei dati specifici dei singoli settori coinvolti. “Tale frammentarietà ha costretto a delle interpolazioni che potrebbero aver introdotto delle distorsioni”.

Colpisce ad ogni modo che fra tante ricerche fatte sullo smart working, fra gli ultimi c’è Indagine sullo Smart Working realizzata dall’Inps o Digitalizzazione e sostenibilità per la ripresa dell’Italia presentato a Cernobbio da European House Ambrosetti, siano state scelte quelle venti righe per avallare una decisione di tale importanza per il destino degli impiegati pubblici e per i cittadini. Quando della macchina pubblica si sa ancora poco, iniziando dagli sportelli attivi, e già questo dovrebbe essere un campanello d’allarme. Puntando per altro su una leva fragile: i mancati guadagni dell’indotto sotto l’ufficio come se le persone lavorando a casa non consumassero nulla e i soldi risparmiati in carburante o nei biglietti del trasporto pubblico venissero automaticamente bruciati invece di esser spesi in maniera diversa. 

Una risposta a due

“La prima motivazione addotta è quella di favorire la crescita dell’economia dando impulso ad attività dell’indotto come ristorazione, abbigliamento e trasporti”, scrivono l’ex sindacalista Marco Bentivogli e Mariano Corso, docente del Politecnico di Milano che ha inventato la definizione stessa di smart working. “Il segnale che in questo modo si rischia di passare ai lavoratori è che ciò che interessa del loro contributo alla ripresa non è tanto il loro impegno e la loro professionalità, quanto la loro spesa come consumatori e ciò anche a prezzo di un minor benessere ed equilibrio personale e professionale. Si tratta di una prospettiva che, oltre che umiliante verso i lavoratori, risulta miope in quanto la priorità del nostro Paese, e in particolare della nostra Pa, non è certo incrementare i consumi dei dipendenti pubblici — abbiamo oggi modi più produttivi di stimolare la domanda — ma migliorare sostenibilità ambientale, resilienza, digitalizzazione e produttività”.

Le eterne prospettive di digitalizzazione

Al Ministero della pubblica amministrazione ci avevano consigliato di contattare il Dipartimento per la trasformazione digitale guidato da Vittorio Colao. Lo abbiamo fatto e ci hanno risposto di aver avviato una sperimentazione all’Anagrafe nazionale popolazione residente (Anpr) che permette di ottenere online e stampare in proprio qualsiasi certificato fra quelli che in genere si chiedono al comune. Oggi è una autocertificazione, dal 2022 saranno certificati veri e propri. E’ la base dell’interoperatività per far comunicare i vari enti, quella che consente uno scambio di dati fra i comuni ad esempio, passando anche per il cloud nazionale sul quale stiamo puntando molto molto.

“Il Dipartimento per la Trasformazione digitale sta lavorando alla realizzazione in digitale delle principali relazioni tra cittadini e Pubblica Amministrazione”, fano sapere. “La base di partenza sono le 21 procedure definite dalla Unione Europea come Single Digital Gateway. Si comincia con i principali certificati anagrafici (Nascita, Residenza, stato di famiglia, ecc.), disponibili tra pochi mesi sul sito dell’Anagrafe nazionale popolazione residente che sta già emettendo le autocertificazioni, e si passa attraverso tutti i momenti salienti della nostra vita: iscrizione a scuole e università, richiesta di permessi di lavoro, dichiarazione dei redditi, cambio di residenza, richiesta della pensione e via discorrendo. L’attività riguarderà anche le aziende e in modalità digitale si potrà ottenere la registrazione di una nuova impresa, gestire gli oneri legati ai propri dipendenti, fare la dichiarazione di redditi, ecc. Il principio guida sarà quello “only once”, cioè che non verranno mai richieste ai cittadini informazioni già conosciute alla PA. Questo sarà possibile sfruttando la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (Pdnd), ora in fase di test”.

Progetti “abilitanti” li chiamano, o se preferite si potrebbe chiamarli semplicemente infrastruttura digitale, la stessa promessa da Diego Piacentini, ex manager di Amazon, chiamato da Matteo Renzi a guidare il Team Digitale nel settembre del 2016. Sono passati cinque anni da allora e poco o nulla è davvero cambiato al di là delle promesse fatte.

Il ritorno alle code davanti allo sportello

“Mi spiega perché di totem digitali per prendere il numero ne avete solo uno e invece di metterlo nell’atrio consentite l’accesso solo se si fa la fila? Lo sa a che ora mi sono dovuto svegliare?”. L’uomo, sulla quarantina, ha perso la pazienza. I dipendenti dell’anagrafe centrale di Roma sembrano abituati agli scatti di ira e tentano di smussare la cosa con frasi accomodanti. Fa caldo, del resto, in quella mattina di luglio. Si cita la pandemia, le misure di sicurezza necessarie, la difficoltà di lavorare in quelle condizioni. Il quarantenne dopo un po’ si rassegna a buttare il resto della mattinata e si siede sui gradini del palazzo con il suo numeretto nell’attesa di essere ricevuto. (Fonte)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.