TERREMOTO: Non abbiamo morti da piangere ma vite da ricostruire

terremotoChe domenica strana: fa un caldo anomalo! Una settimana fa ci siamo svegliati squassati dal terremoto. Sono bastati appena sette giorni perché venissimo derubricati a notizia di piagnisteo. Del fatto che qui nelle nostre terre ci stiamo giocando un’economia, una storia, un immenso patrimonio d’arte, un’eredità che era la premessa e la promessa del nostro futuro e forse un intero territorio, del fatto che qui se non ci sono vite perdute, ci sono vite da ricostruire sembra non importare più nulla a nessuno. Ve l’ho detto: Forza Maceratesi, dobbiamo farcela da soli! E da soli ci stiamo dando da fare. E’ partita la rete di solidarietà per vendere i prodotti delle nostre terre, è partito il tamtam delle case sfitte, è partito l’ospitarsi e il farsi coraggio. Forza Maceratesi: ce la facciamo. Da soli. Perché siamo tosti, siano generosi, siamo umili, siamo forti, perché la nostra gente è gente che conosce la fatica, la fatica di vivere, ma anche la gioia di vivere. Forza Maceratesi ce la possiamo fare. Da soli perché abbiamo riscoperto il senso di comunità, perché sentiamo che siamo popolo! E tuttavia non posso, una settimana dopo quella scossa tremenda del 6.5 scala Richter, non fare qualche considerazione. Che spero mi aiuti a capire e spero ci aiuti a stare più uniti che mai, a essere ancora di più comunità. Perché Forza Maceratesi: ce la dobbiamo fare. Da soli, ma uniti! Faceva caldo- un caldo strano – anche quel dieci giugno di 76 anni fa. Dicono che lui avesse provato il discorso prima di affacciarsi al balcone di piazza Venezia. Un mio concittadino – livornese – annotò nel suo diario: “Sono triste, molto triste. L’avventura comincia: che Dio assista l’Italia”. Firmato Galeazzo Ciano. Provarono in tutti i modi, si dice, a fargli cambiare idea, ma lui rispose: “Mi servono alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo delle trattative”. Fu il delirio di Benito Mussolini che condusse l’Italia alla tragedia.

Anch’io oggi sono triste, molto triste e spero che Dio assista la mia nuova gente: i maceratesi e la mia nuova meravigliosa terra, Macerata e i suoi infiniti spazi che vanno dai Monti Azzurri al mare di smeraldo. Mi chiedo: avevamo bisogno di morti per farci sentire? Perché qualcuno si accorgesse delle proporzioni enormi del disastro di questo terremoto che già è sparito dalla considerazione dei media senza peraltro che il maceratese mai ci entrasse? Sciorino le cifre rese note dall’assessore regionale Angelo Sciapichetti: sfollati in provincia di Macerata 25 mila. Di queste ce ne sono ancora 11 mila che dormono in auto. Ci sono 22 scuole inagibili, 506 aziende sepolte dalle macerie, le stalle lesionate sono 146, i Comuni (intesi come palazzi comunali) interdetti, le zone rosse sono 175. Aggiungerei tre ospedali in precarie condizioni, una trentina di frazioni ancora isolate, venti case di riposo evacuate, duecentomila edifici lesionati. La provincia di Macerata è quella che sopporta i danni, i disagi, le conseguenze di gran lunga peggiori. A San Severino ancora non c’è andato nessuno, a Tolentino il Commissario Straordinario Vasco Errani ha fatto passerella ma non ha proposto una soluzione che sia una. Ci sono paesi come Fiordimonte, Bolognola, Fiastra, Pieve Torina, Gualdo, Muccia, Ussita, Castensantangelo, Caldarola, Gagliole (giusto per dirne alcuni) ridotti a spettri. Non c’è un comune- salvo un paio della costa che peraltro oggi sopportano il carico di 7 mila sfollati – che non sia stato ferito da questa follia della terra che ancora ci tormenta con una scossa ogni quattro minuti. C’è un patrimonio d’arte spazzato via. E sappiamo queste seguenti cose. Le Soprintendenze bloccano la messa in sicurezza dei monumenti, l’Ordine Nazionale degli Ingegneri denuncia che c’è una sottovalutazione dei danni del terremoto e una esasperante lentezza nella messa in sicurezza dei luoghi e segnatamente del patrimonio artistico-monumentale, la presidente nazionale di Legambiente denuncia che nessuno del Mibact e delle Regioni ha mobilitato la rete dei volontari per la salvaguardia del patrimonio artistico. A questo va aggiunto: il decreto sul terremoto non dice se e quali adempimenti fiscali saranno sospesi e per quali comuni (ricordo che ci sono dentro ancora i comuni dell’Abruzzo che il sisma non ha toccato e certamente sono fuori dal decreto Tolentino e San Severino distrutte per metà e per tre quarti con le aziende che fanno fatica a ripartire); le gare di appalto per la costruzione delle casette non sono ancora partite; non si sa se gli ospedali danneggiati saranno rimessi in sicurezza; la viabilità devastata dal terremoto è esattamente nello stato in cui era domenica mattina; la riapertura delle scuole slitta di settimana in settimana. Inoltre: non c’è un’indicazione precisa sul rimborso degli affitti, non si sa se l’Imu sulle seconde cosa che vengono destinate agli sfollati viene sospesa, non c’è nessuna chiarezza sul ripristino dei collegamenti e dei trasporti pubblici. Quelli che funzionano è solo perché i maceratesi che lavorano nel settore si stanno facendo carico con turni massacranti dell’emergenza. In più mancano i tecnici per gli accertamenti di agibilità: su 200 mila edifici lesionati né è stato controllato poco più del 5% e questo grazie al volontariato dei professionisti maceratesi.

Ma questo significa per migliaia di famiglie l’incertezza sul dove abitare e per migliaia di attività l’incertezza sul come operare. I Comuni sono privi di direttive, ad esempio non si sa come procedere se uno chiede un’immediata autorizzazione per restaurare una casa o se vuole costruirsi una casetta di legno per proprio conto, anzi sappiamo che rischia grosso; una denuncia per abuso edilizio! Egualmente i Sindaci – è il caso di Ussita o di Gualdo – che devono farsi carico della sicurezza non possono intervenire sulle chiese pericolanti, ma devono aspettare che crollino! Il personale dei Comuni si sta spezzando la schiena per rispondere alle domande dei cittadini, ma non ha né leggi né soldi per aiutare, i Sindaci rivendicano più autonomia, il Governo gliela promette, ma non dà loro gli strumenti né i soldi e loro comunque non mollano. Perché sono parte di noi maceratesi. E sono forti. E sappiamo che possiamo farcela. Ma da soli! Questo è un sommario del nulla che si è fatto per questo terremoto. Forse è perché non abbiamo i morti per sederci al tavolo delle trattative?

Ora veniamo a ciò che è stato fatto. Sono i Vigili del Fuoco e i nostri in particolare a sopportare il maggior carico dell’emergenza. E i volontari della Protezione civile. E tutti coloro che spinti dalla solidarietà si stanno dando da fare. Senza di loro saremmo abbandonati: grazie ragazzi! L’università di Camerino si è rimessa in piedi grazie al lavoro degli studenti e dei docenti. Le fabbriche che riaprono lo fanno perché operai e azienda si sono dati da fare senza aspettare aiuti, gli artigiani che tirano avanti lo fanno a loro rischio, gli allevatori non hanno ancora ricevuto nessun aiuto concreto nonostante le promesse, ma continuano a non abbandonare le loro greggi e continuano a lavorare, la rete di solidarietà è stata attivata soprattutto da noi: ci siamo dati una mano l’un l’altro. Mi chiedo: ci servivano i morti per farci ascoltare? Forse sì. Perché c’è un approccio sbagliato a questo terremoto. La Protezione Civile che brilla per distrazione è abituata alle emergenze. Qui non ci sono macerie da scavare, non ci sono miracoli da sbattere in prima pagina. Qui non serve mandare l’esercito a Cingoli – non si sa a far cosa – perché non si riesce a capire che salvare i De Magistris a Caldarola e o andare casa per casa a San Severino è più importante.

Qui ai presunti soccorritori è saltato lo schema. La tragedia non è salvare vite umane, ma la quotidianità della vita umana. Ma per fare questo serve sensibilità, serve cultura, serve capacità di ascolto. E servono soldi freschi, subito. La vita quotidiana non contempla la burocrazia: contempla il fare – cosa che noi maceratesi sappiamo sommamente bene e a dispetto di qualsiasi fatica perché siamo abituati così da secoli: se questa terra è meravigliosa è perché i “nostri” antichi l’hanno saputa plasmare, è una terra artefatta, cioè fatta ad arte – la vita di tutti i giorni non contempla il sensazionale – cosa che non s’addice ai maceratesi – ma richiede un eccezionale quotidiano, l’operare diuturno non contempla né i proclami né le promesse richiede la costanza e l’opera pratica. Sarà per questo che Vasco Errani erra da un comune all’altro come una monade e dissemina il suo vagare di errori. Lasciatemelo dire: Errani erra errando, perché non ha capito nulla di ciò che serve e di come va affrontata questa che per i giornali nazionali è già una non emergenza. Qui non servono né il generale cordoglio, né la faccia di circostanza, né le parole di conforto; qui servono fatti che ancora non si vedono a una settimana dalla botta più grossa. Ma è sul come e il quando che si misura la capacità di chi dovrebbe aiutarci. E’ per questo che  dobbiamo farcela, ma da soli! E’ per questo che la parole dei politici suonano vuote. Qui non ci sono lacrime da detergere: ci sono scuole da riaprire, case da sistemare, fabbriche da rimettere in moto, campi da coltivare, turismo a rilanciare, libri da studiare, università da salvaguardare, musei da riaprire, chiese dove pregare. La pacca sulla spalla che è lenitiva e confortante, che è calore e doverosa quando c’è un lutto, in questo tipo d’emergenza diventa perdita di tempo, dunque fastidio, dunque ferita.

Perché questi non lo sanno che tra un po’ verrà l’inverno e ci mancherà di andare a sciare a Sarnano, a Sassotetto, sulla pistina di Bolognola per poi farsi un panino con la porchetta o il ciauscolo a Visso o a Pieve Torina o a Pievebovigliana. Questi non lo sanno che in primavera ci mancherà la gita alle cascatelle di Cingoli, non lo sanno che i nostri bimbi la gita scolastica la fanno al Colle dell’Infinito di Recanati o tra le pecore sopravvisssane, perché non ci vogliamo rinunciare a bere un bicchiere a Serrapetrona, a un panino a Caccamo, a una giornata di bello nella pinacoteca di San Severino, al torrone di Camerino, allo struscio a Tolentino, alla messa a San Claudio, alla pattinata sul ghiaccio a Ussita, all’acqua di Castelsantangelo, al picnic a Fiastra. Questi non lo sanno che per noi il pecorino dei Sibillini, il ciauscolo di Visso, la farina da polenta di Passo di Treia, il Varnelli, la pasta di Camerino sono identità. Questi non s’immaginano quanto possa essere grande la ferita di non poter andare a sognare a San Ginesio o a Montelupone, a mangiare i fagioli di Appignano oa bere il Verdicchio a Matelica. Loro che ne sanno di cosa significano per noi Paolo Da Visso, i Salimbeni, il Crivelli, il Lotto, i De Magistris? Che ne sanno di quanto domestico orgoglio c’è in palazzo Bonaccorsi, o nell’Abbadia di Fiastra, in Urbs Salvia, o in Helvia Recina, o nel vino cotto di Loro Piceno? Non ci sono i morti da esibire e i feriti da disseppellire per far vedere la muscolare attività della Protezione Civile in favore di telecamera. Ci dispiace: non abbiamo bisogno di superman, ci servono degli uomini. Ma uomini veri come noi, capaci di comprendere i bisogni degli uomini. Noi non siamo abituati a Rambo, ci basta il mistero di Rambona o il sorriso di una Clarissa capace di fare un biscotto! Non abbiamo morti, ma ci sono tanti piccoli enormi lutti da considerare: sono le ferite alla nostra terra, alle nostre radici, ai nostri valori. A pensarci bene non ci aiutano perché non ci capiscono, a pensarci bene non ci raccontano perché noi siamo custodi di un’identità profonda, ricca, autentica che a questi media così superficiali è ignota. Lo dico: non sanno né aiutarci né raccontarci perché sono ignoranti!

Allora Forza Maceratesi, possiamo farcela, dobbiamo farcela da soli! Vi dico che però dobbiamo ripigliarci le città: basta con le piazze e i corsi vuoti, mesti e tristi di Macerata, di Tolentino, di San Severino e dei nostri tanti paesi. Ripigliamoci la vita, la nostra vita. Insieme. Incontriamoci, scambiamoci, dimostriamoci comunità. La butto lì; è una provocazione e spero che qualcuno mi ascolti, spero che da Cronache Maceratesi se ne possa davvero fare un evento: la prossima domenica facciamo la festa dell’orgoglio maceratese! Scegliamo un luogo simbolico- Tolentino? San Severino? Recanati? Macerata? non importa – ritroviamoci lì non a far festa, ma a mostrare la nostra identità, i nostri prodotti, la nostra cultura, la nostra storia. E diciamo chiaro e tondo: con la vostra burocrazia non sappiamo dove andare, con le nostre mani sappiamo che fare: RICOSTRUIRE! Prendo a prestito da Oriana Fallaci il titolo di un libro. Forza Maceratesi, possiamo farcela: ora è il momento della “Rabbia e dell’Orgoglio”. La rabbia perché non ci aiutano, la rabbia perché non ci sanno raccontare, la rabbia perché rischiamo che ci dimentichino, l’orgoglio è quello del nostro essere positivamente diversi, è l’orgoglio del nostro esistere. Forza Maceratesi. Possiamo farcela. Da soli! (cronachemaceratesi)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.