“Viviamo in un’era pandemica da cento anni: l’influenza Spagnola del 1918 non ci ha mai abbandonato”

“L’influenza del 1918 si è conclusa nei primi anni Venti, ma il virus H1N1 è ancora tra noi”, nel tempo il virus è mutato ed è sopravvissuto fino a trasformarsi nell’influenza stagionale che affrontiamo ogni anno. “Occhio però a confonderla con il nuovo coronavirus”, avvertono gli studiosi.

“L’influenza del 1918 è ancora con noi”. E’ un’affermazione potente quella pronunciata a The Washington Postda Ann Reid, direttore del National Center for Science Education che negli anni Novanta analizzò la composizione genetica del virus H1N1, il virus che durante la prima guerra mondiale i giornali spagnoli per primi portarono all’attenzione dell’opinione pubblica (da qui il nome influenza Spagnola) e che uccise in due anni almeno 50 milioni di persone.  Stando a quanto dice la studiosa la Spagnola non se n’è mai andata.

“I discendenti del virus H1N1 del 1918 costituiscono i virus influenzali che combattiamo ancora oggi”, ha spiegato. In sintesi, l’influenza stagionale di cui tutti si ammalano nel periodo autunnale non è altro che il risultato di cento anni di mutazioni dello stesso virus, quella stessa Spagnola che mieteva più vittime della peste nera del XIV secolo.

Nel 2009, David Morens e Jeffery Taubenberger del National Institutes of Health, agenzia del Dipartimento della Salute degli Stati Uniti, e Anthony Fauci scrivono un articolo per il New England Journal of Medicine. Per spiegare l’evoluzione dell’influenza del 1918 ricorrono alla metafora del gioco di squadra: è utile immaginare il virus influenzale non come una entità distinta ma, piuttosto, come una “squadra di geni” che lavorano uniti e che, a volte, per raggiungere il loro scopo, devono sostituire uno o più “giocatori” con altri dotati di nuove capacità. I discendenti del virus H1N1 hanno così contribuito a “un’era pandemica che dura da cento anni, iniziata intorno al 1918”. I virus influenzali stagionali “che le persone hanno contratto quest’anno, o l’anno scorso, sono ancora tutti direttamente collegati all’antenato del 1918” dichiarava Taubenberger al Post.

Come è stata possibile questa mutazione? Per spiegarla con parole semplici, con il tempo coloro che avevano contratto il virus H1N1 svilupparono l’immunità e i rapporti dei medici dell’epoca testimoniano che la malattia divenne man mano, e attraverso ripetute ondate, meno letale e contagiosa. Durante la Grande Guerra il sovraffollamento delle trincee e i numerosi spostamenti delle truppe da un territorio all’altro non fecero altro che aiutare la diffusione dell’influenza del 1918. La vulnerabilità dei giovani adulti sani e la mancanza di vaccini e trattamenti fece sì che circa la metà delle vittime furono uomini e donne tra i 20 e i 30 anni. Nel best-seller The Great Influenza dello storico John Barry che ricostruisce la storia dell’influenza Spagnola si legge che “Dall′8 al 10 per cento di tutti i giovani adulti allora viventi poteva essere stato ucciso dal virus”. Oggi invece l’influenza stagionale è letale per lo più tra le file dei più anziani di una società.

Come ricordato da Barry “Il virus era più virulento o più facilmente trasmissibile quando si trovava allo stato iniziale”, l’ordine “naturale di un virus influenzale è quello di cambiare”, è nel suo interesse diffondersi prima di uccidere chi lo ospita, per continuare a vivere e a mutare lui stesso.

Nel 1920, dunque, il virus dell’influenza Spagnola era ancora una minaccia, ma era diventato meno letale. The Great Influenza ritrae un famoso patologo dell’epoca della Johns Hopkins, William Henry Welch, intento a studiare i geni del virus della Grande Guerra. Welch definì “umiliante” per la ricerca scientifica che l’epidemia stesse scomparendo senza che gli esperti ne comprendessero la causa. Quello che non aveva previsto era che il virus non sarebbe sparito ancora per molto tempo.

Quello che si chiedono tutti è se è possibile un parallelismo tra l’evoluzione e la storia dell’influenza spagnola e il Coronavirus. Dall’inizio del lockdown causato dalla pandemia da Covid-19 fino a oggi in molti si sono rivolti alle epidemie che la storia ha portato con sé per evidenziarne i nessi, le somiglianze e le differenze, e adesso soprattutto per interrogarsi su come quelle del passato si sono concluse, o meglio fino a quando sono state considerate “in corso”.

“Continuiamo a tornare all’epidemia del 1918 come punto di riferimento e confronto”, spiega al Post Jeremy Greene, storico della medicina alla Johns Hopkins. Alcune delle misure che cento anni fa erano state adottate per affrontare l’epidemia sono in vigore ancora oggi. Per “appiattire la curva”, le città e i paesi hanno chiuso i battenti. “Tra la pandemia di oggi e l’epidemia di influenza di cento anni fa ci sono analogie”, continua lo storico. “Entrambi i virus provengono da animali alati, uno dagli uccelli e l’altro dai pipistrelli. Entrambi attaccano le vie respiratorie. Entrambi hanno costretto le persone a indossare le mascherine nei luoghi pubblici. Tuttavia i virus dell’influenza e i coronavirus non sono la stessa cosa. Non si possono tracciare paralleli troppo vicini”, avverte Greene.

Riconoscere le somiglianze e le differenze con le pandemie del passato può fornire uno “specchio significativo” per il presente, ha aggiunto Greene, ma la parola chiave oggi è “nuovo”. “Il nuovo coronavirus ha sollevato nuovi e diversi problemi nella gestione della malattia, stiamo imparando strada facendo”. (Fonte)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.