“Accordi… unilaterali. Provate voi a cercare di avere un appalto in Italia…”
L’accordo sulla libera circolazione delle persone crea quindi disoccupati, soprattutto giovani ticinesi, e di riflesso aumenta sistematicamente il numero di persone in assistenza. Nei confronti di Berna bisogna reagire con più determinazione: occorre introdurre dei contingenti sui frontalieri, in particolare nel settore terziario dove la manodopera ticinese non manca. Le misure di accompagnamento contro il dumping salariale e sociale (in vigore dal 1° giugno 2004) non sono servite a difendere i lavoratori ticinesi. Purtroppo, le pressioni verso il basso sui salari e il rispetto delle condizioni lavorative la fanno da padrone, e questo per il semplice fatto che i controlli sono insufficienti: solo 6 ispettori presenti in tutto il Cantone per controllare i cantieri.
Sul fronte degli appalti pubblici il problema non è da meno. L’accordo prevede l’obbligo reciproco di bandire gare per la fornitura di materiale e la costruzione di opere edili. Questo significa che un’impresa registrata nell’UE ha il diritto di partecipare alle gare per l’aggiudicazione di tali appalti pubblici in Svizzera e nei paesi dell’Unione. Sulla carta tutto bene, ma il concetto di reciprocità non è sempre rispettato, soprattutto con la vicina Italia, dove il concetto appare piuttosto unidirezionale. La realtà è che le imprese svizzere non riescono a battere chiodo sul suolo italiano. Troppe sono le leggi e i testi normativi riguardanti l’Autorità e la materia dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture che impediscono alle nostre imprese di partecipare al mercato italiano. Lavorare in Italia comporta l’assoggettamento alle casse edili e quindi il pagamento di circa un quarto del salario lordo, oltre naturalmente ai costi di un bravo legale.
Gli accordi UE mettono in difficoltà l’economia ticinese e causano l’aumento della disoccupazione e di casi in assistenza: ecco alcuni motivi per dire NO alla strisciante adesione all’UE!
di Bruno Buzzini
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