L’orientamento della Cassazione [1] è favorevole al lavoratore. In particolare, la dichiarazione in cui il lavoratore attesta di avere percepito una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver altro da pretendere dal proprio datore di lavoro non pregiudica ulteriori rivendicazioni e, quindi, la possibilità di agire per il riconoscimento, anche in causa, dei propri diritti che risultano, in realtà, insoddisfatti. Ciò però non vale quando la dichiarazione sottoscritta non è in realtà una quietanza, ma una transazione con il datore di lavoro, ossia una formale e consapevole rinuncia ad alcuni diritti. Perché, però, si possa parlare di transazione, e quindi di preclusione alla possibilità di rivendicare ulteriori emolumenti, è necessario che il lavoratore abbia piena e consapevole conoscenza dei diritti specifici a cui va a rinunciare [2]. Insomma, solo l’errore inconsapevole consente di agire in un momento successivo.
Si ha una vera e propria transazione quando nella quietanza rilasciata al lavoratore è indicata una somma aggiuntiva (ad esempio una somma a titolo di liberalità e/o compensazione di eventuali somme non corrisposte) rispetto a quella effettivamente pagata e la somma stessa ha un carattere autonomo rispetto ai crediti di lavoro [3].
Caso pratico
La quietanza liberatoria con cui il lavoratore accetta le somme dovutegli alla cessazione del rapporto di lavoro, non implica di per sé l’accettazione del licenziamento e la rinuncia ad impugnarlo o all’impugnazione già proposta, anche se la quietanza lo menziona. La quietanza, tuttavia, può assumere tale significato in presenza di altre circostanze precise, concordanti ed obiettivamente concludenti che dimostrino l’intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo [4]. A tal fine, ad esempio, rileva che il lavoratore – oltre ad aver presentato la richiesta di TFR e ad aver effettivamente riscosso le relative spettanze – non abbia per lungo tempo contestato l’avvenuta risoluzione del rapporto [5].
[1] Cass. sent. n. 15371/2003.
[2] Cass. sent. n. 11536/2006; Cass. sent. n. 4442/1999.
[3] Cass. sent. n. 3812/1982.
[4] Cass. sent. n. 13975/1999.
[5] Cass. sent. n. 10193/2002.
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