Addio genitori supereroi. Lo smart working li smitizza agli occhi dei bimbi

Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva. “C’è una sorta di umanizzazione. Prima il lavoro dei genitori era un mistero, qualcosa che sta in un non luogo”

Erano tempi non sospetti, anni e anni prima che qualcuno ironizzasse sulla pronuncia della parola smartworki. Io lo dicevo ancora all’italiana – “lavoro da casa” –, ma nonostante l’aiuto della lingua madre, il concetto era difficile da far recepire a orecchie altrui. Il binomio (casa lavoro) non esisteva nelle loro teste, il mio intrattenermi con un pc in una stanzetta era poco dissimile ai loro occhi di una giornata di studio, anche meno nobile di quelle da sessione pre esame, che richiamano un certo rispetto: “Lasciala stare, si sta ammazzando di studio”. Se lavori da casa, di lavoro non ti ammazzi mai. Almeno non visti dall’esterno, almeno prima che la pandemia riscrivesse il nostro immaginario. Io non ci riuscivo a creare una bolla, come se la mia stanza fosse un ufficio da non violare. Il “fate come se non ci fossi” s’infrangeva sotto le nocche dell’ennesima bussata alla mia porta. E non potevi dirti stanco. Ti vedo, non sei sudato, non c’è fatica fisica nel tuo battere i tasti o chiamare questo e quello. Sei persino in tuta, dai. Ma a chi lo vuoi far credere, questo non è lavoro.

Il lavoro da casa – smart working, lo chiamano impropriamente adesso – non esisteva nelle nostre menti perché la maggior parte di noi non è così da vicino che ha conosciuto il mestiere dei propri genitori. Uscivano la mattina presto per andare in luoghi distanti, per dedicarsi a cose sconosciute. Tornavano la sera spesso stremati, dopo aver fatto chissà cosa. A noi non restava che immaginare, e la mente di un bambino immagina sempre in grande. Con la pandemia cambia la percezione del lavoro dei genitori, impattando con la realtà. Un padre chimico è certamente meno affascinante se muove scartoffie seduto al tavolo della cucina.

“C’è una sorta di umanizzazione e familiarizzazione con il concetto del lavoro”, spiega ad Huffpost Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, “Prima il lavoro dei genitori era un mistero, qualcosa che sta in un non luogo, dove li si immagina alle volte come supereroi. Nella ritraduzione di quel lavoro in formato smartworking, le mamme e i papà restano tali. La dimensione del loro lavoro diventa normalizzata agli occhi del bambino”.

Li vede in ciabatte, che fanno riunioni coi colleghi. Il lavoro entra nella dimensione casalinga, modificandola: “Diventa qualcosa che limita: mentre si lavora non si può fare troppo rumore. Impatta nel modo di stare in famiglia e nelle relazioni. I bambini acquisiscono una percezione del quotidiano. A noi è successo al contrario, vedendo la scuola dei nostri figli entrare in remoto in cucina. Abbiamo imparato a conoscere lo stile degli insegnanti, vediamo i nostri figli gestire la didattica”.

Si cresce con la percezione più chiara di cosa comporta l’impegno della mamma e del papà, qual è il ruolo attivo che giocano nella loro professione. E soprattutto, cosa significa svolgere quella professione. A plasmare fantasie distorte negli anni ci hanno pensato anche le serie tv. “C’è una distanza enorme tra come vengono percepite alcune professioni sotto l’effetto glamourizzante o adrenalinizzante della televisione, rispetto allo sporco e al duro mestiere” dice Pellai, “La tv narra fuori dal principio di realtà, come se fosse un videogioco e chi fa quel mestiere è un supereroe. Il lavoro ha delle responsabilità che non ha la dimensione narcisistica delle fiction”.

Vedere un mestiere svolto in pantofole potrebbe generare l’effetto opposto. Non solo non c’è adrenalina, ma apparentemente c’è molta noia: “Guardando il papà che lavora da casa non guarda tutti gli aspetti sociali. Il lavoro appare noioso come la lezione di didattica a distanza. Sarà compito del genitore raccontare i pezzi che vengono persi per rigenerare un’immagine più attraente. Così come poi sarà compito della scuola orientare i ragazzi nella scelta del mestiere che faranno da grandi, fornendo loro le chiavi per capire di cosa si sta realmente parlando”. (Fonte)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.