Androide: inizia l’era degli uomini-macchina

ANDROIDE, CYBORG E FANTASCIENZA

L’androide (o robot umanoide) è un essere del tutto artificiale con caratteristiche umane. Differisce dal cyborg che invece è costituito da componenti biologiche oltre che artificiali. Per semplificare possiamo vedere l’androide (o «ginoide» nel caso di un umanoide con caratteri femminili) come un artefatto, mentre il cyborg come un umano con qualche «correzione». Tendenzialmente entrambi vengono associati alla narrativa, al cinema e in generale al contesto fantascientifico, in verità essi sono già presenti nella nostra società e probabilmente lo saranno sempre di più. Si pensi alla compagnia Neuralink, nata di recente, che già si sta affermando come società-pilastro nell’ambito delle neuroscienze. L’intento di Elon Musk è quello di impiantare nel cervello delle persone dei dispositivi in grado di monitorare le loro funzioni neurali e svolgere altre operazioni ad esse correlate. Per quanto l’idea sembri innovativa, già la Deep Brain Stimulation (DBS) pensò in passato di utilizzare degli elettrodi cerebrali per risolvere alcune problematiche di tipo neurologico o psichiatrico. Si pensi inoltre all’anziano signore dal cuore navigato che ancora sopravvive grazie ad un pacemaker salvavita. In tutti i casi parliamo di esseri umani fusi con oggetti tecnologici, non è forse questa la definizione di cyborg?

L’era degli uomini-macchina

Certamente quando si pensa ad un cyborg l’immagine che si crea nella nostra mente non è propriamente quella di un vecchio signore affaticato che per prendere gli aerei deve prima annunciare di essere in parte meccanico. Immaginiamo piuttosto una persona con braccia di metallo, occhi bionici o gambe robotiche. Probabilmente per osservare i primi Victor Stone o Bucky Barnes dovremo attendere ancora qualche anno, ma nel mondo vi sono già persone che sono state legalmente riconosciute come «uomini-macchina». Un caso esemplare è quello di Neil Harbisson. Negli anni 80 del secolo scorso, al giovane Neil venne diagnosticata una patologia detta acromatopsia che gli impediva di distinguere i colori. La sua visione era esclusivamente in scala di grigi, il mondo mancava di tonalità. Dopo circa vent’anni di grigio, lo stesso Neil progettò un dispositivo in grado di convertire le onde cromatiche in onde sonore. Poco tempo dopo la sua innovativa antenna gli venne finalmente impiantata e da quel momento Harbisson poté finalmente «sentire» i colori grazie alla conversione delle onde luminose in onde acustiche.

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Nel 2004 il giovane uomo-antenna ebbe dei problemi durante il rinnovo del proprio passaporto perché nella foto compariva uno strano strumento elettronico sulla sua testa. Harbisson insistette nel tenere il dispositivo anche nella foto, riteneva che ormai fosse parte del suo corpo, come un nuovo organo, non era rimovibile. Quando alla fine della vicenda il dispositivo venne riconosciuto ed accettato, Neil diventò ufficialmente il primo cyborg della storia e fondò, insieme alla cyborg Moon Ribas, la Cyborg Foundation, una società i cui scopi principali erano la difesa dei diritti degli uomini-macchina e il potenziamento della abilità umane tramite l’applicazione di componenti cibernetiche.

Androide: storia e attualità

In breve, un androide è un robot dotato di intelligenza artificiale con fattezze particolarmente umane, spesso arricchito di componenti biologiche. Per quanto l’idea di androide sembri piuttosto recente, il termine in realtà nasce centinaia di anni fa, nel 1270 circa con Alberto Magno. Difatti i bardi medievali erano soliti attribuire proprio al grande filosofo tedesco il merito della costruzione di uno strano fantoccio metallico a servizio del monastero di Colonia. Secoli dopo il termine venne diffuso su scala mondiale da Villiers con il suo romanzo Eva futura (1886) e iniziò a comparire anche nei vari brevetti statunitensi in riferimento ad automi giocattolo dalla forma umana. Tuttavia, il primo vero androide certificato fu forse quello progettato da Leonardo da Vinci nel 1495 e ben descritto nel Codex Atlanticus: un’armatura che avrebbe dovuto animare le feste degli Sforza. Negli anni successivi seguirono tanti altri prototipi simili (si pensi all’automata di Jaquet-Droz e alle macchine di Jacques de Vaucanson, tra cui la famosa Canard Digérateur), fino ad arrivare al primo androide moderno nel 1973: Wabot-1, un robot antropomorfo in grado di camminare e parlare in modo molto rozzo. Alla fine del secolo, il Massachussets Institute of Technology progettò il primo androide in grado di esprimere emozioni e stati d’animo; dopo di lui vennero ideati robot sociali sempre più elaborati e realistici come i robot-concierge Hannah e Mario, Pepper, iCub e Sophia, il primo robot umanoide ad ottenere la cittadinanza saudita.

ANDROIDE ARTIFICIALE O ANDROIDE UMANO?

Partiamo dal presupposto che (quasi) ogni fenomeno di tipo biologico può essere riprodotto e simulato con mezzi informatici e tecnologici, si pensi al grande e recente lavoro della bioinformatica e delle neuroscienze computazionali. Vi sono robot umanoidi in grado di svolgere determinati compiti pratici (è il caso dell’automazione industriale), ma anche altri che vengono utilizzati in laboratorio per testare e comprendere svariate ipotesi sulla natura dell’uomo. Più complesso è il fenomeno che si desidera spiegare, più elaborato deve essere il modello che occorre per spiegarlo. A volte i costrutti teorici sono così generali da richiedere simulazioni il più complete possibile.

Androide umano o artificiale?
Androide umano o androide artificiale? La differenza tra artefatti e umani «innestati» con parti meccaniche sta diventando sempre più sottile (Credit foto: Pixabay – KELLEPICS,  ritagliata, ridimensionata, dimensioni: 500×300 px, Pixabay License).

Per simulare e comprendere l’apprendimento sul piano biofisico può essere sufficiente un modello informatico che utilizzi, ad esempio, le leggi del cosiddetto potenziamento a lungo termine (LTP), ma per simulare fenomeni sistemici come l’interazione sociale, non è possibile limitarsi ad un semplice modello sinaptico come quello appena citato. Lo stesso apprendimento, se lo si volesse indagare in ogni sua componente, non sarebbe riproducibile da un «semplice» modello computazionale biochimico. Ognuno sperimenta la realtà in modo diverso dagli altri in funzione di come è fatto strutturalmente e biologicamente, di conseguenza impara a conoscerla in modo differente. Per questo motivo il modelling sta diventando sempre più strutturato ed elaborato, la robotica human-like e la computazione neuromorfica ne sono forse la dimostrazione più evidente.

L’ingegneria antropomorfa

Ipotizziamo, ad esempio, di voler studiare la coscienza, un costrutto molto generale e molto complesso che si radica proprio nell’apprendimento e nelle connessioni fisiche tra aree cerebrali. Siccome essa dipende dell’interazione tra tanti elementi, non se ne può parlare in termini specifici. Anche se è frutto dell’apprendimento, non la si può spiegare solo con le sinapsi, perché l’apprendimento a sua volta è frutto della percezione e dell’interazione con l’ambiente, che a loro volta sono frutto di altri processi di base. Per questa ragione sono stati creati robot umanoidi come iCub che sono in grado di apprendere sulla base della cognizione sociale, spaziale e dell’embodied cognition. Con un modello strettamente informatico non sarebbe possibile studiare né la social, né l’embodied cognitionper comprendere l’interazione umana è necessaria un’implementazione più concreta: la struttura umana, il corpo.

Soft robotics e bio-intelligenza artificiale

La coscienza è frutto di un lungo processo evolutivo che coinvolge l’apprendimento in diverse aree tipicamente umane (dal linguaggio, alla social cognition, alla percezione), dunque per simularla, se si potesse, sarebbe necessario un corpo il più umano possibile. Coscienza, memoria, sviluppo sano e patologico sono tematiche altamente interconnesse tra loro, ma per studiarle purtroppo ancora non sono sufficienti i mezzi che abbiamo a disposizione. Per quanto i robot umanoidi ci assomiglino, sono ancora molto diversi da noi. Tuttavia lo sviluppo tecnologico sta progredendo sempre di più e la possibilità di ricreare perfette strutture umane artificiali si sta facendo sempre più concreta, si pensi ad esempio alla cosiddetta soft robotics.

Nel caso specifico delle sinapsi, già oggi vi sono implementazioni bio-inspired che tentano di simulare il funzionamento dell’apprendimento umano sulla base della biologia animale. Vi sono anche simulazioni recenti che combinano la neuroinformatica con la sua controparte concreta al fine di riprodurre esattamente il funzionamento spike-based umano (basato sui potenziali di azione). È il caso delle sinapsi bioibride. Il primo passo per realizzare un sistema neuromorfico perfettamente integrato consiste nell’ottenere un vero e proprio condizionamento sinaptico basato sull’attività di segnalazione biochimica. Un recente studio ha tentato di realizzare un’interfaccia bioibrida di questo tipo: ha equipaggiato uno dispositivo neuromorfico organico con cellule dopaminergiche al fine di ricostituire una vera sinapsi. Simulando il meccanismo di riciclaggio della dopamina della fessura sinaptica, è riuscito a riprodurre sia una situazione di condizionamento a lungo termine, che il recupero del peso sinaptico (Keene et al., 2020).

Naturale e artificiale si fondono

È evidente la difficoltà di implementazione di un intero sistema neurale, eppure già vi sono ricerche che stanno tentando di combinare la spike timing dependent plasticity (STDP) con dispositivi di memoria non-volatile, al fine di rendere il sistema più rapido ed efficiente dal punto di vista energetico, e quindi più simile a noi (Burr et al., 2017). In questo modo il concetto di «sviluppo» sarebbe sempre più replicabile, e con esso le basi biologiche correlate, dal rilascio neurotrasmettitoriale a carico di molte più unità sinaptiche, alla percezione omeostatica, indispensabile per simulare le sensazioni propriocettive nelle macchine, senza le quali non potrebbero essere di certo paragonate all’uomo. Presto o tardi ciò che è artificiale sarà così bio-ibrido da sembrare umano e l’umano sarà fuso con la meccanica al punto da sembrare artificiale. Come ogni nuova prospettiva, anche questa suscita tanto entusiasmo quanta preoccupazione; sarà una svolta in positivo o in negativo per l’umanità? Ai posteri l’ardua sentenza.

Fonte

  • Alcaraz, A. Ł. (2019). Cyborgs’ Perception, Cognition, Society, Environment, and Ethics: Interview with Neil Harbisson and Moon Ribas, 14 October 2016, Ace Hotel, New York City.
    JSTOR
  • Keene, S. T., Lubrano, C., Kazemzadeh, S., Melianas, A., Tuchman, Y., Polino, G., … & Santoro, F. (2020). A biohybrid synapse with neurotransmitter-mediated plasticity.
    Nature Materials
  • Burr, G. W., Shelby, R. M., Sebastian, A., Kim, S., Kim, S., Sidler, S., … & Leblebici, Y. (2017). Neuromorphic computing using non-volatile memory.
    Taylor & Francis Online
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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.