Carne coltivata: siamo riusciti a produrre anche il grasso delle bistecche

Per non produrre in laboratorio solo polpette di carne ma anche bistecche è necessario creare tessuto grasso: ci siamo riusciti.

Si torna a parlare di carne sintetica (o, meglio, “coltivata”, per evitare di attribuire connotazioni artificiali inesistenti), questa volta per un’innovazione che potrebbe cambiare la sorte della produzione su larga scala: un gruppo di ricercatori statunitensi è riuscito a produrre in laboratorio il tessuto grasso degli animali, con una consistenza e una struttura simile a quello naturale. I risultati dello studio sono stati pubblicati su eLife.

Attualmente la maggior parte della carne coltivata viene prodotta sotto forma di un misto di cellule senza struttura (come polpette o nuggets di pollo), mentre è ancora complesso creare vere e proprie bistecche o petti di pollo. Ciò che manca è la consistenza della carne reale, che è data dalle fibre muscolari, dal tessuto connettivo e dal grasso che le dona sapore.

LE DIFFICOLTÀ FINORA. Produrre tessuto grasso coltivato in laboratorio in grandi quantità è difficile perché, mano a mano che la massa grassa cresce, le cellule centrali vanno in deprivazione di ossigeno e nutrienti, e “muoiono”. In natura ci sono i vasi sanguigni e i capillari che si occupano di trasportare ossigeno e nutrienti nei tessuti, ma (almeno al momento) è impossibile replicare la rete vascolare in un tessuto prodotto in laboratorio, e per questo si riescono a produrre tessuti muscolari o di grasso grandi appena pochi millimetri.

LA SOLUZIONE. Per ovviare a questa limitazione, i ricercatori hanno coltivato le cellule di grasso di topi e maiali inizialmente in uno strato piatto e bidimensionale, per poi raccoglierle e unirle a una massa tridimensionale con all’interno un addensante, come l’alginato di sodio o la transglutaminasi microbica (mTG), entrambi spesso usati in ambito alimentare. «Dal momento che il tessuto grasso è prevalentemente composto da cellule con altri componenti strutturali, abbiamo pensato che unire le cellule dopo la crescita sarebbe stato sufficiente per riprodurre il sapore, l’apporto nutritivo e la consistenza del grasso animale», spiega John Se Kit Yuen Jr, coordinatore dello studio. «Questo metodo può funzionare quando creiamo un tessuto destinati esclusivamente al consumo alimentare, poiché non è necessario che le cellule rimangano in vita una volta che riusciamo ad ottenere sufficiente grasso nella massa».

TEST DI PRESSIONE… Per testare che le cellule grasse avessero effettivamente le caratteristiche necessarie, i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti. In uno hanno compresso il tessuto grasso coltivato per vedere quanta pressione poteva sopportare rispetto a quello animale: hanno scoperto che le cellule unite all’alginato di sodio sopportavano una pressione simile al grasso di pollame e bestiame.

Le cellule unite alla mTG, invece, si comportavano come grasso fuso, in modo simile allo strutto o al sego. Usando diversi tipi di addensanti e calibrandone la quantità, sarebbe dunque possibile imitare la consistenza di diversi tipi di carne.

… E DI ACIDI GRASSI. Un altro esperimento ha invece guardato alla composizione delle molecole del tessuto grasso, scoprendo che il mix di acidi grassi del grasso coltivato di topo era diverso da quello del topo vero, mentre quello di maiale aveva un profilo acidico molto simile a quello originale. Secondo gli studiosi sarebbe possibile integrare i lipidi necessari nelle cellule coltivate durante la crescita, per assicurarsi che la quantità di acidi grassi sia il più simile possibile a quella della carne naturale. (Fonte)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.