Il convivente non è un familiare

Il convivente non può essere collaboratore e/o coadiuvante familiare ai fini previdenziali. Non avendo lo status di parente o affine entro il terzo grado, rispetto al titolare dell’impresa, infatti, non è tenuto all’obbligo contributivo all’Inps. Lo precisa l’Ispettorato nazionale del lavoro con la nota 879/2023, rispondendo a un quesito dell’ispettorato territoriale di Cosenza. Tuttavia, la precisazione potrebbe avere le ore contate: si attende, infatti, che la pronuncia della corte di cassazione sull’equiparazione del convivente more uxorio a parenti o affini.

Unioni e convivenze. Il chiarimento, come detto, arriva a risposta di un quesito dell’Itl di Cosenza che, in particolare, ha chiesto se è possibile inquadrare la posizione lavoristico-previdenziale del convivente come collaboratore e/o coadiuvante familiare. La questione riguarda, dunque, la legge 76/2016 e i relativi obblighi previdenziali. Con tale legge (c.d. Cirinnà), si ricorda, sono state introdotte e disciplinate le “unioni civili” e le “convivenze di fatto”: le prime tra persone dello stesso sesso; le seconde tra persone dello stesso sesso e tra persone di sesso diverso.

La posizione dell’Inps. L’Inl, prima di tutto, ricorda la posizione dell’Inps (circolare 66/2017, su ItaliaOggi del 4 aprile 2017) che, tra l’altro, in merito alla disciplina dell’impresa familiare, ha stabilito che è solo nel caso delle unioni civili che c’è stata la completa equiparazione dei partner al coniuge, con tutti i conseguenti diritti e obblighi di natura fiscale e anche previdenziale. Tali obblighi e tali diritti, invece, sono esclusi nel caso di convivenze, perché mancano i requisiti soggettivi (che sono il legame di parentela o affinità) nonostante la legge 76/2016 abbia aggiunto l’art. 230-ter al codice civile, che attribuisce al convivente «che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente» il diritto di «partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato», a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.

I chiarimenti. L’Inl propende per la conferma delle istruzioni dell’Inps, in quanto ritenute coerenti con i dati normativi qualificatori delle posizioni soggettive coinvolte: familiare; parte dell’unione civile; convivente di fatto. Sono tratti qualificatori interpretati a tutt’oggi, in senso conforme, anche dalla giurisprudenza di legittimità (cassazione 22405/2004 e cassazione 4204/1994) la quale esclude l’equiparazione di status tra il coniuge (e, per assimilazione normativa, le parti unite civilmente) e il convivente more uxorio. Tuttavia, aggiunge l’Inl, per completezza d’indagine va rilevato come le possibili aperture circa l’assimilabilità “in chiave analogica, della posizione del convivente a quella del familiare, sia desumibile da un orientamento espresso di recente dalle sezioni unite penali della cassazione (sentenza 10381/2021)”. Tanto che la stessa corte, con ordinanza 2121 del 24 gennaio 2023, ha ritenuto necessaria la rimessione della questione alle sezioni unite civili: “se l’art. 203-bis, come 3, del codice civile possa essere evolutivamente interpretato (…), nel senso di prevedere l’applicabilità della relativa disciplina anche al convivente more uxorio, laddove la convivenza di fatto sia caratterizzata da un grado accertato di stabilità …”. In attesa di conoscere la decisione, l’Inl conferma le istruzioni dell’Inps vigenti.

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.