INCARICHI EXTRA ISTITUZIONALI: IL DIPENDENTE PUBBLICO DEVE RIVERSARE IL COMPENSO

Al dipendente pubblico che violi il divieto di svolgere incarichi non conferiti o non previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza si applica la sanzione automatica della restituzione integrale del compenso, da versarsi a cura dell’erogante, o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata di bilancio dell’amministrazione: è quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 90 del 29 aprile 2015.

 La Consulta non ha potuto accertare l’eventuale illegittimità costituzionale di tale principio e ha, invece, dovuto dichiarare manifestamente inammissibile la relativa questione sollevata dal Tribunale di Bergamo e dal TAR per la Puglia, poiché entrambi i giudici rimettenti, trascurando di compiere una esauriente ricognizione delle norme di riferimento, hanno completamente omesso di esaminare e di risolvere motivatamente il problema sulla sussistenza della rispettiva giurisdizione in ordine ai ricorsi davanti ad essi presentati dalle parti.

Come è noto, i pubblici dipendenti sono tenuti ad osservare il principio di esclusività del rapporto di pubblico impiego – principio che trova fondamento nell’art. 98, primo comma, Cost., – e, in caso di trasgressione del dovere di chiedere l’autorizzazione per svolgere attività extra istituzionali remunerate, gli stessi sono passibili di essere sottoposti a un provvedimento disciplinare.

In caso di violazione del divieto di svolgere incarichi non conferiti o non previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza, il T.U. per il Pubblico Impiego (art. 53, comma 7, del D.Lgs. n. 165/2001) prevede che al dipendente pubblico debba applicarsi la sanzione automatica della restituzione integrale del compenso, da versarsi a cura dell’erogante, o, in difetto, del percettore, nel conto dell’entrata di bilancio dell’amministrazione.

Orbene, due giudici hanno sollevato la questione di legittimità di tale norma dinanzi al giudice delle leggi, con riferimento a due distinte controversie: i procedimenti principali riguardano, da un lato, alcuni infermieri professionali dipendenti dell’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate, i quali hanno svolto presso terzi prestazioni infermieristiche al di fuori dell’orario di lavoro senza farsi prima autorizzare dall’Azienda, e dall’altro lato, un ufficiale pilota dell’aeronautica militare, il quale, durante un periodo di congedo straordinario senza assegni concessogli dall’amministrazione, aveva svolto, anch’egli senza autorizzazione, attività lavorativa retribuita quale pilota di elicotteri presso una società spagnola. In entrambi i casi, tali soggetti si sono visti richiedere dalle amministrazioni di appartenne le somme percepite a titolo di compenso.

La Consulta, però, dopo aver riunito i giudizi (poiché avevano a oggetto la medesima questione), ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale poiché entrambi i giudici rimettenti, trascurando di compiere una esauriente ricognizione del contesto regolativo di riferimento, hanno completamente omesso di esaminare e di risolvere motivatamente il problema sulla sussistenza della rispettiva giurisdizione in ordine ai ricorsi davanti ad essi instaurati.

In merito, infatti – scrive la Corte Costituzionale – il comma 7-bis dello stesso art. 53 stabilisce che “L’omissione del versamento del compenso da parte del dipendente pubblico indebito percettore costituisce ipotesi di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti”.
D’altronde, anche le Sezioni Unite civili della Cassazione hanno già avuto modo di affermare che sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità amministrativa di un soggetto che, legato all’amministrazione da un rapporto di impiego o di servizio, causi un danno con azioni od omissioni connesse alla violazione non solo dei doveri tipici delle funzioni concretamente svolte, ma anche di quelli ad esse strumentali, attenendo al merito e, dunque, ai limiti interni della potestas iudicandi, ogni questione attinente al tipo e all’ammontare del danno stesso diverso da quello all’immagine (Cassazione, Sez. Unite, ordinanza n. 22688 del 2 novembre 2011).

I giudici remittenti, dunque, non hanno indicato le ragioni per le quali ciascuno di essi implicitamente esclude che la disciplina di cui al richiamato comma 7-bis possa trovare applicazione alle vicende di cui ai giudizi loro devoluti (“le quali, per di più, apparendo del tutto analoghe anche sotto il profilo della normativa applicabile, risulterebbero tuttavia contemporaneamente attribuite sia alla giurisdizione ordinaria sia a quella amministrativa”).

Per di più, spiega la Corte, la questione proposta dal TAR Puglia va dichiarata manifestamente inammissibile anche per carente motivazione sulla rilevanza, poiché il giudice amministrativo non ha descritto con sufficienza le circostanze di fatto del giudizio a quo, relative alla situazione di un ufficiale pilota dell’aeronautica militare collocato in aspettativa, senza peraltro considerare una serie di altre circostanze tra cui la particolare situazione del dipendente posto in aspettativa per il quale lo stesso T.U. per il pubblico impiego esclude dalla disciplina sanzionatoria, tra gli altri, proprio i compensi derivanti “da incarichi per lo svolgimento dei quali il dipendente è posto in posizione di aspettativa, di comando o di fuori ruolo”.

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