SICUREZZA: Omessa vigilanza sull’impiego degli strumenti di protezione: il datore risarcisce l’infortunio

L’aver fornito adeguati strumenti di protezione non esonera il datore dalla responsabilità per l’infortunio subito dal dipendente se non ha vigilato sul loro effettivo utilizzo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 5233 del 16 marzo 2016.

contributodatoriIL FATTO
Il caso trae origine da una sentenza con cui il Tribunale di Napoli condannava una società a pagare al proprio lavoratore, a titolo risarcitorio dei danni derivatigli da un infortunio sul lavoro occorso il 9 gennaio 1998, la somma di euro 105.000,00 per danno esistenziale e biologico e quella di euro 23.000,00 per danno morale, il tutto oltre interessi.

La Corte d’Appello di Napoli riduceva a complessivi euro 105.000,00 il risarcimento dovuto al lavoratore, confermando nel resto le statuizioni di prime cure.

Accertavano i giudici di merito che il lavoratore, nell’eseguire le operazioni di revisione del gruppo leveraggio cambio di un automezzo aziendale, era stato colpito da un bullone che si accingeva ad estrarre, riportando una cecità assoluta all’occhio sinistro e uno stress cronico moderato post-traumatico, con conseguente inabilità permanente del 37%.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la società, censurando la decisione impugnata per avere ravvisato la propria responsabilità pur essendosi accertato che l’infortunio si era verificato solo perché il lavoratore – operaio tecnico – non aveva inforcato gli occhiali protettivi regolarmente fornitigli dall’azienda: obiettava in proposito la ricorrente di aver adottato tutte le dovute cautele e cioè di aver formato professionalmente il lavoratore e di averlo informato circa i rischi del lavoro svolto, munendolo di occhiali protettivi e di lampade mobili, così rispettando sotto ogni aspetto il debito di sicurezza di cui all’art. 2087 c.c.; né – concludeva la doglianza – era necessaria una particolare vigilanza del lavoratore durante l’operazione svolta (lo svitamento d’un bullone), di estrema semplicità.

LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla società. I giudici di merito avevano ravvisato a carico della società una violazione dell’art. 2087 c.c. perché l’ambiente di lavoro era scarsamente illuminato e perché l’azienda non aveva vigilato affinché i dipendenti utilizzassero gli occhiali protettivi e i sistemi di illuminazione mobili messi a loro disposizione.
La società contestava l’asserita necessità di vigilanza, in considerazione del livello di esperienza dell’infortunato e della semplicità dell’operazione che stava eseguendo.

Ciò premesso, osserva la Suprema Corte che è pur vero che in tema di responsabilità del datore di lavoro circa il mancato uso di mezzi personali di sicurezza la violazione dell’art. 4, lett. c), del D.P.R. n. 547/55 (vigente all’epoca dell’infortunio) – che obbliga datori di lavoro, dirigenti e preposti a “disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione” – postula un accertamento che abbia riguardo alle peculiari caratteristiche dell’impresa, ai tipi di lavorazione ivi effettuati, all’entità del personale e ai diversi gradi di rischio.

La sorveglianza dovuta da datori di lavoro, dirigenti e preposti non deve essere ininterrotta e con costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può anche sostanziarsi in una discreta, seppure continua ed efficace, vigilanza generica, intesa ad assicurarsi, nei limiti dell’umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite e utilizzino gli strumenti di protezione prescritti.

Tale obbligo di vigilanza subisce un’ulteriore attenuazione, in base ad un principio di ragionevole affidamento nelle accertate qualità del dipendente, in ipotesi di provetta specializzazione dell’operaio munito di approfondita conoscenza d’una determinata lavorazione cui sia addetto da lungo tempo.

Nondimeno tale mera attenuazione – che, giova ribadire, è configurabile solo in ipotesi di lavoratore esperto, già adeguatamente formato professionalmente e informato dei rischi connessi alle mansioni assegnategli – non si identifica con la totale omissione di controllo, ravvisata nel caso di specie dai giudici di merito, circa l’uso di lampade mobili e occhiali protettivi, controllo ancor più necessario viste le condizioni di insufficiente illuminazione dell’ambiente di lavoro.

Né esime da tale obbligo la semplicità dell’operazione lavorativa, atteso che il grado maggiore o minore di complessità del lavoro da espletare non è in rapporto di proporzionalità diretta con il rischio protetto, ben potendosi dare lavorazioni complesse, ma non pericolose e, per converso, altre anche semplici, ma con elevato livello di pericolosità.

Ne consegue il rigetto del ricorso. (FONTE: Lavorofisco)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.