Smart working, quasi nessuno vuol tornare in ufficio a tempo pieno. Specie nel tech

Un numero considerevole di impiegati potrebbe licenziarsi se costretto ad abbandonare completamente il lavoro da casa. Con il progresso delle campagne vaccinali sono tante le aziende che stanno tornando allo status quo pre-pandemia, ma i dipendenti hanno altre idee. Lo indica un sondaggio di Morning Consult commissionato da Bloomberg: su 1.000 adulti intervistati negli USA, ben il 39% ha detto che quantomeno valuterà di andarsene se dovrà tornare in ufficio a tempo pieno. E la cifra sale a ben il 49% in caso degli intervistati più giovani, come Millennials e Gen Z.

Tra le principali ragioni della reticenza all’abbandono dello smart working, un sondaggio del mese scorso condotto dalla piattaforma di lavoro flessibile FlexJobs indica l’assenza di tragitto casa-lavoro: il risparmio di tempo e denaro è chiaramente facile da immaginare – negli USA più di un terzo degli intervistati ha detto di risparmiare almeno 5.000 dollari l’anno solo da questo punto di vista. I lavoratori hanno anche più paura di essere esposti al coronavirus SARS-CoV-2, tra colleghi poco inclini a farsi vaccinare, difficoltà a osservare sempre e diligentemente le misure di sicurezza e magari la necessità di ricorrere ai mezzi pubblici.Sì, dai, lo smart working ha i suoi vantaggi. Almeno finché non schiaccia “per sbaglio” (ancora tutto da dimostrare) F5 mentre stai scrivendo un trattato da 3.000 parole

Lavorando da casa si rimane anche più a contatto con la propria famiglia, animali inclusi, e la gestione dei figli più piccoli è molto meno complicata, così come lo svolgimento di piccole commissioni e faccende domestiche. Almeno in alcuni casi, poi, è possibile risparmiare in modo considerevole sugli affitti andando a vivere lontano dalle città più grandi in cui si trovano i quartier generali dei grandi colossi – pensiamo all’intera Silicon Valley, in cui l’affitto di un monolocale può arrivare a 3-4.000 dollari al mese.

Dei rischi dello smart working abbiamo già parlato in passato; e anche se alcune delle aziende più grosse, soprattutto del settore tecnologico, hanno dato il loro nulla osta allo smart working “per sempre”, il resto del mondo del lavoro è un po’ più restio ad accettare il cambiamento. La stragrande maggioranza dei dirigenti intervistati ritiene che siano necessari almeno tre giorni alla settimana in presenza per mantenere viva la cosiddetta “cultura organizzativa”, che finora è stata considerata un elemento fondamentale per il successo di un’azienda. E ben un quinto degli intervistati ritiene fondamentale la presenza fissa, quindi cinque giorni a settimana, contro appena il 5% che sostiene che si possa evitare completamente. Inoltre, per chi punta a fare carriera e crescere a livello professionale, essere in ufficio è ancora di più una necessità.

Il fenomeno di “ammutinamento dell’ufficio” è particolarmente acuto nel settore tecnologico: un sondaggio condotto dal portale di recruiting Hackajob dice che ben l’86% degli intervistati sta cercando contratti che prevedano almeno qualche forma di lavoro da remoto. Solo il 14% dei 1.400 intervistati, dunque, afferma di voler tornare in ufficio a tempo pieno. Detto questo, la maggior parte degli intervistati, pari al 60%, dice che non disdegnerebbe formule ibride, con un po’ di presenza in ufficio e il resto del tempo a casa.

E attenzione a sottovalutare i dati considerandoli come sola teoria: il fenomeno è già iniziato, e non solo negli USA. E in queste circostanze, la società che non ha problemi con lo smart working può trovarsi avvantaggiata nella ricerca di nuovo personale.

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.