Il Giappone tornerà a cacciare le balene a scopo commerciale

I funzionari hanno annunciato l’intenzione di ritirarsi dagli accordi internazionali che tutelano i cetacei. La caccia a scopo commerciale resterà comunque vietata nelle acque internazionali

balenaIl Giappone ha deciso di ritirarsi dall’International Whaling Commission (IWC) e riprendere la caccia alla balena nelle sue acque costiere; lo ha confermato un portavoce del governo. La commissione oggi conta 89 membri ed è stata fondata nel 1946 per tutelare i cetacei e regolarne la caccia a livello globale. Ha vietato la caccia a scopi commerciali nel 1986.

Il Giappone resta il mercato principale per la carne di balena, eppure il consumo effettivo è limitato – circa 30 grammi l’anno a persona, ovvero tra le 4.000 e 5.000 tonnellate – secondo un rapporto dell’Animal Welfare Institute, una no-profit il cui obiettivo è limitare le sofferenze degli animali, e dell’Environmental Investigation Agency, che monitora i crimini internazionali legati alla fauna selvatica.

Secondo Astrid Fuchs, manager del programma balene per la no-profit del Regno Unito Whale and Dolphin Conservation – che ha parlato con National Geographic prima che questa notizia fosse confermata – quella del Giappone è una mossa soprattutto politica. Un modo per dichiarare che può usare gli oceani a suo piacimento. Il Giappone è la voce più forte tra i paesi favorevoli alla caccia alla balena, ha commentato Fuchs, perciò questa decisione potrebbe spingere altri paesi come Corea del Sud e Russia a fare lo stesso.

Entro il divieto IWC è comunque concessa la caccia alla balena a scopi scientifici – come studi per comprendere lo status riproduttivo, per analizzare il contenuto dello stomaco o gli effetti dei cambiamenti ambientali sugli animali – . Il Giappone è stato a lungo accusato di essersi servito di quest’eccezione come copertura, e di fornire alcune parti dei corpi ai ricercatori mentre vendevano il grosso della carne delle balene per il consumo umano.

“Hanno preso in giro la moratoria e la volontà dei cittadini di tutto il mondo per un bel po’”, dice Kitty Block, presidentessa di Humane Society International. Durante il meeting annuale della commissione, nell’estate 2018, la richiesta giapponese di permettere la caccia a fini commerciali è stata respinta. “Ci hanno investito molto denaro”, spiegava Fuchs. “Parte del governo si aspettava davvero di riuscire a cambiare la posizione di vari paesi, durante il meeting”.

Dopo l’incontro gli ufficiali giapponesi, compresi il vice-ministro della pesac Masaaki Taniai e il commissario IWC per il Giappone Joji Morishita, hanno anticipato che avrebbero valutato di ritirarsi dalla commissione. Una minaccia che era già stata avanzata in passato.

Fuchs aveva previsto che questa volta sarebbe stato diverso. “Suonava davvero come una concreta intenzione di ritirarsi”, aveva commentato.

Block è d’accordo. “Quando non ottengono quello che vogliono a questi meeting internazionali dicono che il Giappone si ritirerà e hanno ventilato queste minacce per molti, molti anni. Ma stavolta sembrava decisamente più concreta”.

Ritirandosi dalla commissione, il Giappone non potrà più approfittare dell’eccezione IWC per la caccia a scopi scientifici nelle acque internazionali, perciò dovrà interromperla. Questo perché la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare richiede ai firmatari, Giappone compreso, di confrontarsi con le “appropriate organizzazioni internazionali” per quanto riguarda la conservazione dei mammiferi marini. Gli studiosi interpretano questa indicazione come un invito a rivolgersi a all’IWC, anche quando un paese non ne è membro.

L’unico beneficio che il Giappone otterrà ritirandosi sarà la possibilità di riprendere la caccia nelle sue acque senza che ci siano controlli. È una buona notizia per le balene dell’Antartide – dove il Giappone ha ucciso fino a 300 esemplari nel 2016, dei quali oltre 200 erano femmine gravide – ma non lo è per i cetacei che vivono nelle acque giapponesi.

A destare preoccupazioni sono soprattutto le balenottere minori, chiamate “J-stock”, che vivono al largo della costa giapponese e sono state cacciate con intensità. Sono ancora relativamente abbondanti, perché la specie non è stata decimata durante il periodo più intenso di caccia alla balena, negli anni ’70.

Se il Giappone fosse più chiaro rispetto alle sue intenzioni di continuare con la caccia a scopi commerciali renderebbe le cose più semplici, commenta Natalie Barefoot, docente di giurisprudenza alla University of Miami ed esperta delle leggi che regolano la gestione dei cetacei.

“In questa discussione fingono ancora di condurre ricerca scientifica”, dice l’esperta. “Se cambiassero la loro posizione e ammettessero ‘Sì, lo stiamo facendo. Stiamo cacciando le balene a scopi commerciali’ allora sarebbe un sollievo su vari fronti, perché potremmo discutere con onestà delle loro attività negli oceani”.

Per il Giappone ritirarsi dalla commissione non avrà conseguenze formali, ma gli altri paesi potrebbero decidere di agire direttamente e imporre delle sanzioni. Vietandogli, ad esempio, di pescare nelle loro acque. Significa anche che il Giappone non sarà più coinvolto nel dialogo internazionale sulla caccia alle balene.

“Stiamo diventando una comunità sempre più globale, perciò sarebbe meglio che tutti partecipassero al dialogo, anche se non sono d’accordo, in modo da continuare a lavorare”. dice Barefoot. “Stiamo gestendo questioni di interesse globale e dobbiamo farlo insieme”.

Secondo la portavoce della commissione Kate Wilson, affinché il Giappone possa chiamarsi fuori entro giugno 2019 dovrà mandare una notifica formale del proprio ritiro al Dipartimento di Stato degli USA, per informare il segretariato della commissione, entro l’1 gennaio 2019.

Non è stato possibile ottenere subito un commento da un rappresentante dell’ambasciata americana in Giappone. Secondo Fuchs, annunciare l’intenzione di ritirarsi proprio ora potrebbe non essere stato un caso. In piena stagione festiva, è possibile che il Giappone si aspettasse un’opposizione meno intensa. (di Rachel Fobar)

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.