L’ingegnere italiano della Nasa: “Proteggerò la Terra dal rischio di contaminazione dal materiale biologico che porteremo da Marte”

Intervista a Giuseppe Cataldo, capo della Backward planetary protection: “Con la missione che verrà lanciata nel 2027 non ci aspettiamo di trovare forme di vita attuali, ma eventuali, risalenti a milioni di anni fa. Però possono darci un’idea di come si sia formata la vita su pianeti come il nostro”

 L’ingegnere della Nasa Giuseppe Cataldo ha il compito di proteggere la Terra dall’invasione dei marziani. Ok, d’accordo, le cose non stanno esattamente così, ma quasi. Come capo della Backward planetary protection, nel programma Mars Sample Return, deve garantire che quando l’agenzia spaziale Usa riporterà sul nostro pianeta i campioni prelevati da Marte, non rischieremo contaminazioni con possibili microrganismi dannosi. Sembra la trama di un film di fantascienza, ma invece è una realtà piuttosto delicata, per cui la Nasa si affida ad una mente italiana.

Lei è partito da Lizzano, provincia di Taranto, ed è arrivato all’agenzia spaziale Usa. Come ha fatto?

«Ho studiato ingegneria spaziale al Politecnico di Milano, prima di entrare in due programmi a doppia laurea col Politecnico di Torino e Supaero in Francia. Qui ho ricevuto una mail dall’Agenzia spaziale europea che consigliava agli studenti di mandare una candidatura alla Nasa Academy, programma d’eccellenza di dieci settimane per 20 studenti. C’erano solo due posti per gli europei, e sono stato scelto nel 2009. Lo scienziato con cui lavoravo mi propose di tornare per fare la tesi di laurea. Un sogno diventato realtà, che non mi sarei mai aspettato così presto nella vita. Ma dopo 12 anni sono ancora qui».

Uno dei suoi incarichi è stato per il James Webb Space Telescope.

«Mi sono occupato di validazione dei modelli matematici. La sfida più grande per Webb è stata non poterlo collaudare nella sua interezza prima del lancio, date le dimensioni. Quindi abbiamo sviluppato modelli matematici molto affidabili per prevedere la performance del telescopio, durante e dopo il lancio».

Lei ha detto che Webb cambierà i libri di scienza. Perché?

«C’è tanta aspettativa, le prime immagini arriveranno il 12 luglio. Gli obiettivi sono quattro: captare la prima luce, delle prime stelle, nate circa 400 milioni di anni dopo il Big Bang, quando l’universo era bambino. Come si sono formate e poi evolute, con le galassie e i sistemi solari. L’ultima domanda è capire se è possibile trovare la vita fuori dal nostro sistema».

Che cosa fa per le esplorazioni su Marte?

«Il responsabile della protezione planetaria inversa. Sarà la prima missione in cui andremo su Marte e torneremo indietro, riportando campioni di roccia e atmosfera sulla Terra. Dobbiamo proteggerla da materiale biologico potenzialmente pericoloso, che potrebbe trovarsi in questi campioni che il rover Perseverance ha già iniziato a raccogliere. Pensiamo che nella zona dove si trova in passato ci sia stata l’acqua, elemento fondamentale per la vita. Non possiamo escludere che siano rimasti microrganismi o forme biologiche antiche. Possibilità molto bassa, ma dobbiamo garantire che i campioni siano in contenitori sterilizzati, per evitare che particelle marziane attive possano arrivare, e l’atterraggio avvenga senza incidenti per evitare contaminazioni».

Stiamo parlando della possibilità di vita su Marte?

«Sì. I campioni sono prelevati da uno strato superficiale, esposto alle radiazioni solari, perciò molto arido e secco. Non ci aspettiamo di trovare forme di vita attuali, ma eventuali, risalenti a milioni di anni fa. Però possono darci un’idea di come si sia formata la vita su pianeti come il nostro».

Quali sono i tempi?

«Non prima del 2033. Il lancio della missione è previsto nel 2027. Poi ci saranno le operazioni in orbita e il ritorno dei campioni».

Sono realistici i progetti di colonizzare la Luna o Marte?

«Sicuramente è una cosa di cui sentiamo parlare spesso. Anche usare la Luna come trampolino per il lancio verso Marte. Il settore pubblico e privato stanno mettendo assieme i vari pezzi per arrivarci. C’è ancora tanto da fare, ma aspettiamo con ansia i prossimi anni».

Ha mai pensato di tornare a casa?

«L’Italia sta facendo passi da gigante nel settore aerospaziale. Ci sono tante aziende già al top, e molte start up create da giovani. Non escludo il rientro».

Che cosa dovrebbero fare Stato e privati per aiutare questo sviluppo?

«È fondamentale investire nella formazione, creando curriculum che consentano agli studenti di applicare la teoria con progetti pratici creati da loro. Le start up poi stanno cambiando il panorama del paese, bisogna aiutarle a fare sinergie e crescere. Dalle tecnologie aerospaziali derivano anche molti prodotti che poi ritroviamo nella vita, senza neanche saperlo».

Che cosa consiglia ai giovani che la guardano come ispirazione?

«Sognate e non abbiate paura. Servono studio, sacrifico e lavoro, ma con i vostri talenti potete fare la differenza nel mondo».

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MARIO FERRAIOLI - Nel '94 fondo lo STUDIO ALBATROS, informatico e consulente aziendale sono autore di un software gestionale per la sicurezza sul lavoro e nei cantieri sviluppato in Intelligenza Artificiale.